Tuesday, May 27, 2008

Festa d'Albania a Casale Monferrato

http://www.lastampa.it/search/articolo.asp?IDarticolo=1805011&sezione=Alessandria


24 maggio 2008
Oyoyoy.
La musica travolgente della Fanfara Tirana
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Oggi a Casale il concerto per la Festa d’Albania
Sul palco sono sfrenati, la loro musica è travolgente, sorprendenti le loro improvvisazioni. Hanno appassionato il pubblico di mezza Europa. Di loro in Albania si dice che «fanno ballare persino i morti». Sono i musicisti che compongono la «Fanfara Tirana», il maggiore gruppo di musica etnica di Albania, diretto da Usta Berati. Si esibisce stasera alle 21, a Casale, nel cortile di S. Croce (prevendita: www.oyoyoy.it) o, se piove, all’Auditorium S. Filippo. L’entusiasmante concerto chiude la Festa Albanese in seno al festival Oyoyoy. La Festa ha inizio oggi alle 17,30 nel cortile di Palazzo S. Giorgio, alla presenza del console Giovanni Firera, quando verrà piantato, per ora in vaso, un ulivo (che successivamente sarà collocato in un giardino pubblico), simbolo del comportamento giusto tenuto dall’Albania tra il ‘43 e il ‘45: nessun ebreo fu ucciso o deportato, perché fu protetto nel rispetto di un codice morale cui questo popolo fa fede. Per questo l’Albania è stato eletto «Paese Giusto d’Israele». Ne parlerà la ricercatrice Roberta Barazza, raccontando un pezzo di storia a lungo rimasto sconosciuto. Motivo di orgoglio morale per i numerosi albanesi che nel Casalese hanno messo radici. Seguirà una conversazione tra il presidente della Provincia Paolo Filippi, il sindaco Paolo Mascarino, lo storico Giovanni Villari e gli opinionisti albanesi Mustafa Nano e Milto Baka, intervistati dal giornalista Andrea Riscassi. E, poi, un buffet di sapore squisitamente albanese.


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23 maggio 2008

http://www.lastampa.it/search/articolo.asp?IDarticolo=1804345&sezione=Alessandria



Il programma nel weekend conclusivo del festival «Oyoyoy» si muove su due binari: il binario A che segue la programmazione ufficiale, promossa dall’associazione Monferrato Cult, già ampiamente divulgata, e il binario B che, in caso di pioggia, indica soluzioni alternative per lo svolgimento di quelle parti che sono previste all’aperto.
OGGI. Sia nel Chiostro di S. Croce sia al Castello Paleologo «grande libreria ebraica», dove si potranno trovare, fino a domenica sera, tutti i testi ebraici pubblicati recentemente: migliaia di volumi tra cui un numero consistente di opere in lingua originale e nelle principali lingue europee. Oltre ai libri, si possono anche acquistare i «Krumiri Rossi kasher», autorizzati dal rabbino e preparati dalla Pasticceria Portinaro appositamente per Oyoyoy.

DOMANI. Proseguono al Castello esposizione e vendita di libri, oltre che di Krumiri Rossi kasher. Alle 17,30 ha inizio la Festa Albanese. L’iniziativa prende spunto dal fatto che l’Albania è stata eletta Paese Giusto d’Israele perché, tra il ‘43 e il ‘45, nessun ebreo fu ucciso o deportato in quanto, nel pieno rispetto del codice kanun, che impone la difesa della vita umana anche a rischio della propria, ci fu il rifiuto totale di consegnare l’elenco degli ebrei residenti in Albania. È un bel riscatto morale per la folta comunità albanese che si è insediata in Italia specialmente negli ultimi 15-20 anni. A Casale e nei dintorni hanno messo radici - vivono, lavorano, frequentano scuole e sport - almeno 577 famiglie (tanti sono gli inviti alla festa che gli organizzatori di Oyoyoy hanno spedito). Alla presenza del console d’Albania Giovanni Firera sarà piantato un ulivo a sottolineare il riconoscimento di «Paese Giusto» conferito da Israele. Ma c’è una variazione rispetto al programma originario: la piantumazione avverrà in vaso nel cortile del Municipio, appunto alle 17,30, e non nel giardino della scuola Piccolo Principe in via Facino Cane. In una lettera inviata dalla preside Titti Palazzetti al sindaco Paolo Mascarino si evidenzia, infatti, che il gesto ha un grande valore simbolico e, circoscrivendolo a una sola scuola cittadina, se ne limiterebbe la fruizione che, invece, va il più possibile estesa alla collettività. L’esempio positivo dell’Albania e delle sue genti deve trovare una maggiore visibilità. Quindi l’ulivo, dopo la piantumazione simbolica in Municipio, sarà poi collocato in un giardino pubblico. Oltre al console, sarà presente la ricercatrice Roberta Barazza per spiegare le motivazioni storiche che hanno consentito agli ebrei in Albania di scampare alla Shoah. Segue, in sala consiliare, un incontro istituzionale per gli albanesi che vivono in Monferrato: insieme al presidente della Provincia Paolo Filippi e al sindaco Paolo Mascarino ci saranno lo storico Giovanni Villari e gli opinionisti albanesi Mustafa Nano e Milto Baka, intervistati dal giornalista Andrea Riscassi. La prima parte della serata si conclude con un buffet gratuito di specialità albanesi.
Alle 21, nel Cortile di Santa Croce (o all’Auditorium S. Filippo se piove) si svolge il concerto della Fanfara Tirana (in foto), il più noto gruppo albanese di musica etnica, diretto magistralmente da Usta Berati, con un repertorio travolgente che ha già conquistato il pubblico di mezza Europa. Di loro si è detto: «fanno ballare anche i morti».








(errata corrige:
le definizioni di 'ricercatrice' o 'storica' che mi sono state attribuite nei giornali non sono corrette e soprattutto non sono mie; ho avvisato gli organizzatori e i giornalisti di usare parole come 'insegnante' o 'docente' o 'giornalista', ma qualche errore è ugualmente finito sulla stampa - Roberta Barazza)

Monday, May 26, 2008

I Giusti di Albania

Mio intervento del 24 maggio 2008 a Casale Monferrato al Festival di Cultura Ebraica www.oyoyoy.it

http://www.oyoyoy.it/Programma_OY2.aspx#17

www.lastampa.it

(mettere in 'cerca' il nome 'roberta barazza')



Tutti gli Ebrei sono stati salvati in Albania durante la II Guerra Mondiale.
Roberta Barazza

http://www.luigiboschi.it/?q=node/11089

L'evento che si vuol ricordare in quest'incontro è un fatto straordinario e unico in Europa: l'Albania è il solo paese europeo in cui tutti gli Ebrei sono stati salvati durante il periodo nazista. Non a caso, dopo la II Guerra Mondiale, vi erano in Albania più Ebrei di quanti vi fossero prima della guerra; molti vi emigrarono per trovare rifugio dalla violenza fascista e nazista. Se prima della II Guerra Mondiale vivevano in Albania circa 200 Ebrei, alla fine della guerra gli Ebrei sopravvissuti erano circa 2000.
Tale evento è tanto straordinario quanto poco noto. Solo negli ultimi anni se ne è parlato, e più precisamente dopo il 1990 quando furono riaperti gli archivi storici in Albania, fino ad allora tenuti segreti dalla dittatura di Hoxha.
Enver Hoxha, salito al potere nel 1944 con l'appoggio dei sovietici, governa il paese fino alla sua morte, nel 1985; gli succede Ramiz Alia, che guida un governo autoritario non democratico fino al 1989, quando inizia il processo di rinnovamento politico che porta al crollo del regime comunista e alla democrazia multipartitica.
Nel 1990 Tom Lantos e Joe DioGuardi, ex-membri del Congresso Americano e primi uomini di stato americani ad entrare in Albania dopo 50 anni, hanno il permesso del dittatore Ramiz Alia di vedere per la prima volta gli archivi storici contenenti lettere, documenti e testimonianze relative agli Ebrei sopravvissuti al fascismo e al nazismo in Albania.
DioGuardi manda molti di questi documenti in Israele, dove vengono considerati autentici dal Yad Vashem, l' Autorità dedita alla Memoria degli Eroi e dei Martiri dell'Olocausto.
Da questo momento cresce l'interesse per questi fatti storici e vengono raccolte molte altre testimonianze.
Alla fine del 2007 si apre a Gerusalemme la mostra fotografica del fotografo ebreo-americano Norman Gershman, che aveva viaggiato in Albania e nei Balcani alla ricerca delle testimonianze delle persone coinvolte. Nel Giorno della Memoria, il 27 gennaio 2008, la mostra viene portata nel Palazzo delle Nazioni Unite, a New York.
L'intento del fotografo umanista Gershman era anche quello di sottolineare, dopo l' 11 settembre, un'immagine anticonvenzionale di una popolazione musulmana ed ex-comunista, invitando così al dialogo e all'abbattimento di stereotipi demonizzanti.
Gli Albanesi erano soprattutto musulmani (65 %); il resto della popolazione era cristiana cattolica e ortodossa. Il dovere di salvare chiunque si trovi in pericolo di vita, deriva dal concetto detto 'Besa' del codice di comportamento albanese detto Kanun.
Il Kanun è un'insieme di norme che sono state codificate per la prima volta dal principe albanese Leke Dukagjini intorno alla fine del XV secolo. Dukagjini era un amico e compagno di lotta del grande eroe albanese Gjergi Kastrioti detto 'Skanderberg' che ha fieramente combattuto fino al 1468 per difendere l'Albania e l'Europa dall'invasione dei Turchi Ottomani. In seguito l'Albania e parte dell'Europa Orientale subiranno la presenza ottomana e molti europei dovranno convertirsi all'Islam. Ma gli Albanesi si sono sempre identificati, prima che nella religione cristiana o islamica, nel codice di comportamento Kanun, che ancora oggi regola i rapporti personali e sociali in Albania. Attorno al codice Kanun si è formata e conservata l'identità stessa degli albanesi, per i quali essere albanese significa soprattutto rispettare le leggi del Kanun. Un concetto importante del codice è il Besa, che può essere tradotto con 'mantenere la parola'. Questo concetto è fondamentale per capire il comportamento degli Albanesi verso gli Ebrei durante la guerra. Il Besa impone la difesa della vita in pericolo aldilà di qualsiasi differenza ideologica o religiosa. Secondo il Besa non esistono stranieri, bensì solo ospiti. Il Kanun prevede l'obbligo della protezione dell'ospite anche a costo della propria vita. Per questo, quando gli ebrei furono in pericolo, in seguito all'occupazione dell'Albania da parte dei fascisti italiani prima (1939), e dei nazisti poi (1943), gli Albanesi non accettarono le leggi razziali, sia nelle scelte personali, sia a livello di amministrazioni pubbliche, che solo formalmente furono costrette ad adeguarvisi.
Durante la II Guerra Mondiale molti ebrei trovarono protezione proprio in Albania e alla fine della guerra gli Ebrei erano molti più che all'inizio.
Molti episodi raccontano i gravissimi rischi corsi dagli Albanesi per proteggere gli Ebrei. Nonostante ciò tutti gli Ebrei furono nascosti e protetti. Dai documenti storici sembra che solo una famiglia di ebrei sia stata uccisa, ma non perchè ebrea, quanto piuttosto perchè collaborava con i partigiani. Alcuni episodi rivelano un coraggio incredibile, come quello di Ali Alia, proprietario di un piccolo negozio, che per salvare un ebreo catturato da un nazista, ospita nella sua casa, dà da mangiare e fa ubriacare il soldato nazista, permettendo così all'ebreo di scappare. O quello di Dhorka Kovaci Kolonja che ospita Mark Menahemi nella sua casa facendolo passare per suo marito. Ogni giorno vi erano simili atti coraggiosissimi: gli ebrei sono stati ospitati, nascosti, protetti, travestiti da albanesi e sono tutti sopravvissuti.
Dopo la guerra molti sono tornati nei paesi da cui erano fuggiti; altri si sono trasferiti in Israele; i contatti con gli Albanesi si sono interrotti a causa della dittatura di Hoxha e della conseguente soppressione delle libertà personali e dei contatti con l'estero.
Solo nel 1990 si è potuto rileggere questa straordinaria pagina di storia. Da allora oltre 60 albanesi sono stati riconosciuti da Israele come 'Giusti tra le nazioni'.


Riferimenti bibliografici:

Roberta Barazza, Gli Ebrei dell'Albania. Scoperta in archivi storici: in Albania tutti gli ebrei sono stati salvati durante la II Guerra Mondiale, www.luigiboschi.it , 25-11-2007
http://www.luigiboschi.it/?q=node/6902

Roberta Barazza, Skandenberg's list. In Albania tutti gli ebrei sono stati salvati durante la Seconda Guerra Mondiale, PeaceReporter 28-3-2008
http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idart=10600

Shirley Cloyes DioGuardi, Jewish Survival in Albania and the Ethics of ‘Besa’, Congress Monthly, January 2005

Shirley Cloyes DioGuardi, Albanians and Jews: an Historical Milestone in Israel
(Albanian American Civic League - www.aacl.com)

Apostol Kotani, From Titus to Hitler: an Overview of the Jewish Community in Albania, in Metodo, n.22/2006

Giovanni Villari, La presenza ebraica in Albania, in Italia Contemporanea, giugno-settembre 2005, n. 239-40.

Harver Sarney, Rescue in Albania: One Hundred Percent of Jews in Albania Rescued from the Holocaust, 1997.

BESA: A Code of Honor - Muslim Albanians Who Rescued Jews During the Holocaust
Mostra delle foto di Norman Gershman. New York, 27 gennaio 2008.

http://youtube.com/watch?v=Zgj-xshWOr8

Su YouTube un filmato con un discorso di Joe Dioguardi (Congresso Americano) e del fotografo Norman Greshman in occasione della mostra BESA: A Code of Honor - Muslim Albanians Who Rescued Jews During the Holocaust

http://en.wikipedia.org/wiki/Albania


www.yadvashem.org :

http://www1.yadvashem.org/odot_pdf/Microsoft%20Word%20-%205725.pdf

http://www1.yadvashem.org.il/search/index_search.html





Se si vuole ricevere una copia gratuita di
Rescue in Albania, di Harvey Sarner, e
Jewish Survival in Albania and the Ethics of 'Besa' di Shirley Cloyes,
si può contattare l'Associazione
AACL - Albanian American Civic League and Foundation
P.O. Box 70, Ossining, NY 10562.
Tel: (914) 762-5530. Fax: (914) 762-5102.
Email: jjd@aacl.com
Website: www.aacl.com

Friday, May 23, 2008

Balcani

Questo mio post del 16 febbraio sul Kosovo è stato commentato da Martin. Pubblico volentieri lo scambio che ne è seguito:



Tutti col fiato sospeso per quel che succederà domani nei Balcani: la proclamazione unilaterale d' indipendenza del Kosovo.

Dopo le guerre nei Balcani degli anni '90, si diceva spesso che appartenere ad un'Europa unita avrebbe scongiurato altri simili disastri. Anche per questo c'è da augurarsi che tutti i paesi balcanici entrino presto nella Comunità Europa.

Domani si guarderà col fiato sospeso a ciò che sta succedendo nei Balcani, ma io penso che, proprio per il ruolo cresciuto dell'Europa in questi anni, non si arriverà ai disastri degli anni '90.
Improbabile che Belgrado da sola (anche se appoggiata dalla Russia, aimè) pensi di affrontare con le armi una decisione che trova concordi il Kosovo, quasi tutti i paesi europei, e gli USA.
Se si arriva ad una definizione pacifica di questo nuovo assetto geografico, vuol anche dire che l'Europa è diventata più unita e più forte. Staremo a vedere ...

Sono stata nei Balcani per molti mesi nel 2005 e 2006. Ero lì anche quando Rugova è morto, dopo molti anni di malattia. Ero lì anche quando il Montenegro ha proclamato l'indipendenza.
Ciò che mi ha sorpreso è che di una possibile indipendenza del Montenegro non si era quasi mai parlato. Da un giorno all'altro ci si accorge che i montenegrini preferiscono l'indipendenza (e una maggiore vicinanza all'Europa) alla compagnia dei loro cugini serbi.
Da un giorno all'altro. E l'hanno ottenuta subito.

Invece dell'indipendenza del Kosovo si parla da molto. Ma i kosovari non sono ancora riusciti a creare uno stato indipendente.
Ho sempre pensato che se c'è un popolo nei Balcani che merita l'indipendenza, quello è proprio il popolo kosovaro. Per vari motivi: perchè quasi tutto il Kosovo è popolato da albanesi che con i serbi hanno poco in comune, per motivi culturali (lingua, etnia, religione) e per motivi storici (li hanno divisi guerre sanguinose e gli scontri etnici degli anni '90).
Nella guerra balcanica degli anni '90 gli albanesi del Kosovo hanno pagato un prezzo enorme, forse il prezzo più alto; e solo questo dovrebbe, secondo me, impedire che la Serbia possa esprimersi troppo. I serbi hanno danneggiato gli albanesi del Kosovo in maniera gravissima e per questo, credo, non hanno diritto di pretendere altro da una regione che, anche per quel che ha subito, ha il diritto all'autodeterminazione.

I miei amici albanesi di Tetovo mi hanno detto che non è vero che il Kosovo è così povero. Lo è, ma anche perchè la parte più ricca di esso (il nord, nella zona della città di Mitrovica, a maggioranza serba) ha delle grandi ricchezze (anche metalli preziosi, tra cui l'oro) il cui controllo è in mano serba.
Mi hanno detto anche che è ingenuo pensare che una ragione importante da parte dei serbi per impedire l'indipendenza del Kosovo sia quella di proteggere i monasteri cristiano-ortodossi dagli albanesi kosovari che sono musulmani e che distruggerebbero quel patrimonio culturale.
E infatti sembra che i monasteri ortodossi servano, oltre che per pregare e proteggere opere d'arte religiose, anche per nascondere criminali di guerra. Sembra infatti che addirittura Mladic sia un finto frate, nascosto in qualche convento, e protetto dai diritti riservati ai luoghi di culto.

Quando da Banja Luka ho preso il treno per Sarajevo, una ragazza seduta vicino a me mi ha aiutato a leggere il quotidiano che avevo comprato a Banja Luka: un articolo con foto diceva che Mladic, il criminale di guerra più ricercato nei Balcani, era stato visto al ristorante con sua moglie, nei pressi di Banja Luka. Come a dire: i serbi non sembrano troppo intenzionati a pagare tutti i loro crimini di guerra e a consegnare i criminali di guerra, come ben sa l'ex Procuratrice del Tribunale dell'Aja, la italo-svizzera Dal Ponte, che per anni ha tentato di costringere i serbi a consegnre Mladic e Karazdic, e che ora c'ha rinunciato, trasferendosi a dirigere l'ambasciata svizzera a Buenos Aires.

Poi c'è la questione della Grande Albania, che faceva sorridere i miei amici albanesi. Questo spauracchio della Grande Albania, cioè una presunta intenzione da parte degli albanesi di formare un grande territorio che potrebbe destabilizzare i Balcani, sembra più un strumentalizzazione politica per negare l'indipendenza ad uno stato che è sempre stato un po' la Cenerentola dei Balcani, anche sotto Tito. E, infatti, come si può pensare che due stati economicamente deboli come il Kosovo e l'Albania possano mettere a rischio la sicurezza politica, culturale e economica di un' Europa Unita? Questa idea della Grande Albania veniva strumentalmente accostata al tema del terrorismo internazionale: si voleva far pensare ad una sorta di 'invasione', anche culturale, di musulmani nell'Europa cristiana.

Credo che quello che vogliono gli albanesi sia l'indipendenza, un miglioramento delle condizioni di vita e un ruolo più rispettato in un contesto che li ha schiacciati, specie nella storia più recente: il Kosovo, per i soprusi nell'area balcanica, e l'Albania stessa, per l'incubo di anni di storia (dal dopoguerra agli anni '90) tra i più oscuri e drammatici di tutta l'Europa.

Roberta Barazza


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Salve Roberta,

mi presento, sono Martin -- , un urbanista di Milano.

Capitato per caso sul suo blog, ho avuto modo di notare un'osservazione circa la questione dell'extraterritorialità dei monasteri serbo-ortodossi del Kosovo. Mi è dispiaciuto leggere come lei, come argomento critico a riguardo, abbia fatto riferimento al fatto che il criminale di guerra Karadzic sia (o sia stato) latitante presso un monastero al confine tra Serbia e Montenegro. Fermo restando che non esistano prove di ciò (e preso atto di come alcuni religiosi della Chiesa ortodossa serba abbiano, è vero, in vario modo dato un cattivo esempio durante i conflitti balcanici), mi preme ricordarle come esistano anche delle cose positive da raccontare. Ad esempio il fatto che, durante la guerra del Kosovo, i monaci del monastero di Visoki Decani abbiano dato rifugio ad alcune famiglie albanesi del vicino villaggio. Forse, come promemoria, il riferimento aneddotico sarebbe risultato più pertinente. Anche alla luce del fatto che a vedere nell'extraterritorialità dei monasteri una minaccia, siano più che altro alcuni personaggi poco raccomandabili (Albin Kurti in primis), fautori di uno sciovinismo esasperato, e disposti ad aggrapparsi a qualsiasi argomento.

Credo che se lei, invece che a Tetovo tra gli albanesi, insegnasse in un posto qualunque in Serbia, esisterebbe qualche probabilità che spendesse delle parole meno dure nei confronti dei serbi (ad esempio riconoscendo il fatto che anche loro, nonostante si trovino dalla parte degli sconfitti, abbiano tutta la legittimità di "esprimersi", anche "troppo", per usare le sue parole, sulla questione del Kosovo). E che lei si ricredesse sul fatto che gli albanesi, tra tutti, siano quelli ad aver pagato di più (ad esempio guadagnandoci una seconda patria indipendente...ma non voglio entrare in polemica). (Del resto, chi cerca ancora un qualche odore di ciò che fu la jugoslavia, a qualche possibilità di ritrovarlo in Vojvodina, a Fiume, o da qualche parte in Montenegro. Non certo a Pristina).

Forse, ad averci rimesso, sono state semplicemente le persone che erano in buona fede, dalla Croazia alla Serbia, dal Kosovo alla Bosnia. Del resto, la stessa esperienza balcanica insegna come, visitando quei paesi, ci si debba ricordare di come tutto sia relativo, e di come girato ogni angolo, si abbia modo di farsi raccontare mille bugie come mille verità.

Le scrive una persona che, suo malgrado, la crisi jugoslava l'ha vissuta quasi in prima persona, e che ha capito come la salvezza dei balcani vada cercata fuori da ogni semplificazione, ogni spassionato romanticismo, ogni esaltazione nazionale (compresa quella albanese), ogni isteria, ogni facile giustizialismo, ogni manicheismo, ogni revanchismo, ogni apparente certezza.

Cordiali saluti

Martin



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Buon giorno.

Proprio perchè sono d'accordo con la sua conclusione, dove dice che bisogna cercare di capire aldilà di ogni semplificazione e di ogni apparente certezza, la ringrazio del suo commento.

Sicuramente: se io avessi insegnato per un anno anche in Serbia, come mi è capitato a Tetovo in Macedonia, capirei di più i Serbi; anzi è proprio per questo che mi piace viaggiare e insegnare in molti paesi. E insegnerei volentieri per qualche mese anche in Serbia. Anzi io non ho per niente antipatia per i Serbi. Ho avversione per quei politici che hanno causato morte e violenza in Jugoslavia.

Tra i miei alunni alla www.seeu.edu.mk avevo soprattutto albanesi ed è probabile che capisca di più il loro punto di vista. Tuttavia poi si cerca di informarsi e di conoscere le cose anche in modo meno intuitivo e immediato.
E per questo, in base alle informazioni che ho, ribadirei in sostanza le mio opinioni.

Il riferimento ai monasteri ortodossi, se rilegge il mio post, era quasi una battuta. So che non è certo, ma si ipotizza, che addirittura Mladic e Karazdic siano protetti nei monasteri.
Il centro del mio discorso comunque è che, secondo me, leggendo la storia più recente ma anche il periodo di Tito, gli albanesi restano la parte più debole e schiacciata dell'ex-jugoslavia. E io credo che loro siano tra quelli che più sono stati schiacciati in quest'area. E' quasi un luogo comune che i serbi si siano imposti nella ex-yusoslavia più di altre nazionalità.

Secondo punto: secondo me un territorio è innanzitutto la sua popolazione; il kosovo è a maggioranza albanese e questo solo dice, secondo me,c he ha il diritto di chiamarsi Kosovo albanese.
Qui ovviamente ognuno ha la sua opinione: a me la Spagna è molto simpatica, specie di recente, e la politica di Zapatero mi sembra buona; non per questo concordo con quello che dice sul kosovo, visto che non ne accetta l'autonomia.

Poi lei dice che c'è stato solo l'eccidio di Srebrenica. A me risulta che milosevi sia stato incriminato all' Aja per il conflitto in croazia del 1991-2, per il genocidio nella guerra in bosnia nel1992-95, per crimini contro l'umanità in kosovo nel 1999. in kososo la sua violenza repressiva ha portato allo sfollamento di più di un milione di kosovari e alla pulizia etnica. inoltre sono soprattutto milosevi e colleghi i responsabili dell'esasperazione del nazionalismo serbo che voleva imporsi e che invece ha ottenuto l'effetto contrario, la dissoluzione della jugoslavia.

io non ho affatto antipatia per i serbi, ma ritengo che ciò che milosevic e il suo apparato politico ha fatto sia di tale gravità da avvalorare il sostegno alla autonomia del kosovo. inoltre la serbia non ha ancora consegnato motli suoi criminali di guerra.
per questo propendo decisamente per il kosovo.

certo, se vivessi nei dintorni per un altro anno, conoscerei meglio la situazione e capirei forse di più la ragione di altri, ma per ora ribadisco queste opinioni. mi rallegro che un europeista, anzichè un nazionalista, abbia vinto le ultime elezioni politiche in serbia.

insomma, lei ha ragione a dire che la realtà è molto complessa e articolata. ed è difficile che uno sia consapevole di tutti i suoi risvolti. ma ognuno non può non prendere posizione. e se persone come lei poi criticano o propongono altre opinioni, tanto meglio: si conosceranno così più aspetti e l'opinione si arricchisce di altri punti di vista.

Cordiali saluti,
Roberta Barazza



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Gentile Roberta,

innanzitutto la ringrazio di avermi risposto e mi fa piacere che abbia accolto costruttivamente le mie osservazioni. Sono anche lieto di scoprirmi d’accordo con più di uno dei suoi argomenti e opinioni.

Ad esempio, sono d’accordo sul fatto che l’odiosa leadership criminale serba degli anni Novanta (che lei, giustamente, distingue dalla collettività serba) vada ritenuta responsabile di molti dei disastri che hanno dilaniato la Jugoslavia. Milosevic in primis.
Ma non solo il nazionalismo serbo ha ucciso la Jugoslavia; insieme ad esso, quello croato, quello sloveno, e tutti gli altri. Il croato Tudjman, le ricordo, in nulla era meglio del suo omologo serbo. Eppure è morto nel suo letto, e ad egli sono intitolate strade e piazze in quasi tutti i villaggi e le città croate. Il suo più grande crimine, la famigerata “operazione Tempesta” del 1995 (ovvero la cancellazione forzata, nel giro di una settimana, della secolare minoranza serba in Croazia, e l’uccisione di chiunque non prese la via della fuga), è rimasto e rimarrà sempre impunito. Anzi celebrato regolarmente, con feste, riti, monumenti. I serbi che tornano in Croazia devono, e dovranno in futuro, sopportare anche questo. (tra l’altro, all’Operazione Tempesta partecipò, lo sappiamo, lo stesso Agim Ceku, che croato non era, bensì kosovaro; mi vengono dunque i brividi, a pensare a quali “nobili” ragioni avessero motivato la sua scelta, e ancor di più a pensare che il signor Ceku siede oggi comodo su una poltrona nel parlamento di Pristina).
Io le ho viste, le Krajne croate, prima e dopo la guerra. L’entroterra serbo di Zara era, in qualche modo, il volto arcadico della Croazia. Le ho riviste nel 1997, e mi si è svelato agli occhi un deserto fatto di strade sbarrate e villaggi fantasma. La croata Knin, che prima del 1991 era una città serba (proprio come Pristina una città albanese), non era più una città, bensì un “non-luogo”. L’orrore di quella stupida guerra, del suo tetro domani, io l’ho visto tutto lì. In quel caso, erano i serbi a vestire i panni delle vittime.
Molte altre volte, lo sappiamo, furono loro i carnefici. (io, nella mia prima lettera, non ho parlato di Srebrenica, però...temo di non aver capito quella parte della sua lettera. Ma si tratta di un dettaglio). Per questo “prendere posizione” è difficile; lo voglio fare, nel senso che ai colpevoli voglio dare un nome e un cognome, ma la mia presa di posizione non coincide con una partigianeria di stampo etnico, e non lo voglio assolutamente, per convintissima scelta.
Le assicuro, sono io il primo a ricordare, oltre a Srebrenica, anche Sarajevo, anche Vukovar, e tutte le nefandezze di Mladic, o di Arkan. Ma ricordo anche il massacro di Gospic, proprio all’inizio della guerra, nel 1991 (e lì, ad imbracciare i fucili, non erano i serbi).
E inoltre le dico: io ho un grande desiderio. Che un giorno, a Belgrado, vedremo una via o una piazza dedicata alle vittime di Srebrenica. E sa una cosa? Le assicuro che a Belgrado non sono in pochi a pensarla come me. Sarà forse solo un simbolo, ma quel giorno potremo finalmente dire che sono cambiate delle cose. Sono altrettanto convinto che la società serba debba immergersi (come una sua parte sta già facendo) in un processo di rilettura autocritica del proprio passato recente, delle proprie responsabilità, delle proprie colpe. Ma il punto è questo: non è semplicemente giusto che a doverlo fare siano solo loro.

La Serbia, dice lei, non ha ancora consegnato molti criminali di guerra. All’appello ne mancano diversi, è vero (molti, del resto, si nascondono chissà dove). Ma molti altri sì, li ha consegnati, compreso l’ex capo di stato (scusatemi se è poco). E senz’altro ne ha consegnati molti più di tutti gli altri. Se pensiamo che delle 100.000 vittime del conflitto bosniaco, 25.000 (un quarto) sono serbe (dati definitivi del centro di documentazione e ricerca di Sarajevo, i più attendibili in assoluto), non possiamo certo credere che i criminali di guerra vadano cercati da una parte sola. Eppure, il bosniaco Naser Oric è rimasto tra le sbarre quanto un ladro di banane. Il croato Gotovina è stato arrestato appena 3 anni fa alle canarie, e non certo grazie alla collaborazione del governo di Zagabria (dove tra l’altro siede tuttora impunito, sebbene già condannato, un altro brutto personaggio, Branimir Glavas). Per non parlare di quel pessimo spettacolo che è l’attuale leadership politica albanese in Kosovo (rispetto alla quale non è necessario nessun commento).
Di fronte a tutto ciò, non mi sorprende affatto il pensiero che al serbo medio girino le scatole, all’idea che debba essere solo il suo paese a collaborare. Mi pare, sinceramente, che continuare a chiedere collaborazione solo alla Serbia sia niente di meno che un accanimento, un’ossessione, fino ai limiti della paranoia. Controproducente, in più. Non è forse arrivato il momento che giungano dei segnali di maggiore collaborazione da parte degli altri? E che noi, in Occidente, li si debba pretendere, senza continuare con le nostre semplificazioni, che hanno attribuito ad alcuni popoli l’etichetta di “vittime”, ad altri quella di “colpevoli”? Quanto di peggio si potesse fare, io credo, se le intenzioni erano quelle di promuovere un vero processo di riconciliazione da un lato, e di intraprendere un percorso di indagine seria su cosa sia veramente successo, e come, perché, per colpa di chi. Perché le “vittime”, così legittimate, non si sogneranno nemmeno di riconoscere i delitti commessi in loro nome. E i “colpevoli”, frustrati, tarderanno ad uscire dalla trappola nazionalistica. Scrivere la storia troppo in fretta è un errore. Ed è il nostro stesso passato ad insegnarcelo.

Ma passiamo ad altro. Per quanto riguarda quella che era la posizione degli albanesi nella Jugoslavia di Tito, sono d’accordo solo in parte sul fatto che fossero la parte più debole (ancora di meno sul fatto che lo siano tutt’oggi; a mio modesto parere, anzi, negli ultimi 10 anni si è verificato un processo di empowerment molto marcato).
Senz’altro il processo di integrazione (anche sociale) di questi è stato difficoltoso (e in gran parte incompiuto), anche per colpa della storica rigidità e della pregiudiziale insofferenza da parte di un ampio settore della società serba. Un processo che in generale doveva essere gestito e accompagnato diversamente. In questo sono assolutamente d’accordo con lei.
Tuttavia, anche dalla parte opposta mancarono dei necessari segnali positivi rispetto alla volontà di una vera integrazione; la responsabilità di tale fallimento va quindi cercata anche da parte albanese. Non dimentichiamo che sin dal 1945 il Kosovo è stato una provincia ampiamente autonoma, culturalmente e politicamente. A partire dalla costituzione del 1974 (e fino alla folle politica di Milosevic), tale autonomia consistette addirittura in uno status di quasi-repubblica (con rappresentanti negli organi della federazione, in quota analoga a quella delle repubbliche, nella diplomazia all’estero e addirittura il potere di veto nei confronti della Serbia). Un elemento che costituì una grande occasione di emancipazione della provincia (così come della comunità albanese), occasione purtroppo perduta, anche per colpa di una leadeship locale miope, dissipatrice delle risorse economiche (che provenivano dalle tasse di tutta la Jugoslavia, dalla Slovenia alla Macedonia) che ogni anno confluivano verso quella che era la regione più povera del Paese. Una classe politica locale, inoltre, sempre pronta ad intavolare la “questione nazionale”, anche quando ce n’era meno bisogno.
Una rilettura distorta, in chiave vittimistica, di questo fallimento è purtroppo assai frequente, oggi, tra molti albanesi (non tutti, per fortuna, ma i più onesti tendono spesso ad essere “imbavagliati”), e credo che sia opportuno prenderne le distanze, da questa come dalle altre bugie che fanno di moda oggi nella ex-Jugoslavia (bugie serbe, croate, slovene e tutte le altre).

Lei poi mi dice che il Kosovo ha diritto di chiamarsi “Kosovo albanese”. Io sono d’accordo sul seguente aspetto: alla luce di quanto è successo con Milosevic, dei terribili anni ’90 che i kosovari hanno dovuto patire, la re-integrazione della provincia in seno alla Serbia era senz’altro improponibile, e il graduale processo di indipendenza (nominale o “de facto”) certamente inevitabile. Per il bene di tutti, anche della Serbia (io credo). Fermo restando che la Spagna credo abbia i suoi buoni motivi per non accogliere frettolosamente il Kosovo indipendente (lei dice “autonomo”, che è diverso, presumo un lapsus; l’ipotesi della massima autonomia è stata scelta come prerogativa assoluta anche da Belgrado per tutto il periodo dei negoziati, e solo un folle si sarebbe sognato di negarla, dopo Milosevic).
Il fatto che il Kosovo sia al 90% albanese significa, ne sono convinto, che di esso debbano decidere soprattutto loro, e che ciò che in Kosovo è albanese debba essere governato nient’altro che dagli albanesi, oggi con un supporto internazionale, domani, auspicabilmente, non più. Ma in Kosovo non tutto è albanese; ciò che non lo è, oggi è quanto mai vulnerabile e minacciato. Non lo dico per supposizione, ma perché, ahimè, sappiamo che è così; so, ad esempio, quanto terribile sia il dramma dei serbi di quel claustrofobico inferno che sono le enclaves, e lo dico con grande dispiacere.
Oggi come oggi, non esiste la capacità, né la volontà, né l’esperienza, da parte della classe politica albanese kosovara, di farsi carico di ciò in maniera civile. Il 2004 non è lontano, e sappiamo tutti che cosa è successo (e soprattutto, ripensando al 2004, si ridimensionano tutte le mie potenziali simpatie verso la “causa albanese” e i suoi argomenti). Quindi sono assolutamente convinto che un processo di decentramento sia necessario; per questo credo, personalmente, che le enclaves serbe debbano diventare delle municipalità, con i propri sindaci (l’unico modo per potersi tutelare dalle pressioni e dalle ostilità alle quali sono costantemente sottoposte). Per lo stesso motivo credo che sia giusto il principio di extraterritorialità dei monasteri. Pec e Decani, fino a pochi anni fa, sorgevano in territori in cui abitavano gli albanesi, ma anche i serbi, che ne rappresentavano la cornice etnico-culturale. Oggi sono delle isole in territorio puramente albanese, e per questo vanno protetti, in quanto ultima testimonianza del fatto che il Kosovo è comunque un mosaico, non una seconda Albania (che i serbi, comprensibilmente, non accetterebbero mai).
Il giorno in cui l’idea del mosaico sarà accettata da tutti, e l’indentità kosovara, auspicabilmente, accettata come un’identità multiculturale e multiforme (senza bisogno di assimilazioni), e tutto ciò che è “diverso”sarà oggetto di rispetto, non ci sarà più bisogno di parlare di extraterritorialità e segregazioni, e la diversità sarà vista come un’opportunità di crescita e di sviluppo (anche economico). Ma ci vuole tempo, molto tempo. E l’intelligenza di indirizzare il percorso nella direzione corretta, da parte di chi ne ha potere. Purtroppo nemmeno questo è scontato.

Un ultimo punto (giusto per precisare): il fatto che i serbi si imponessero in Jugoslavia più degli altri è in parte vero, in parte no. Vero per quanto riguarda, ad esempio, l’esercito (anche a causa, forse, di una maggiore identificazione “culturale” negli elementi simbolici dello Stato), non vero per quanto riguarda il sistema di rappresentanza politica. A fronte di un 37% sulla popolazione totale jugoslava, si può dire che i serbi fossero anzi sottorappresentati nell’ordinamento del Paese, in cui ad ogni unità federale era accordato lo stesso peso nella rappresentanza. Lo scrittore tedesco Anton Zichka trent’anni fa scriveva, non senza umorismo: “I serbi sopportano perfino Tito, che è croato. Perché, qualunque difetto possa avere, è un coraggioso”. Ma andava bene così. Questo garantiva un certo equilibrio all’interno della Jugoslavia, un equilibrio che secondo me, nel 1990-91 l’Occidente (che pure ha le sue gravissime responsabilità, mi creda) avrebbe dovuto difendere, invece di optare per un immediato smantellamento di quel Paese.
E Milosevic, anche di questo sono convinto, poteva essere “fatto fuori” molto prima che nel 2000 (non mi dimentico come ben due volte, nel 1992 e nel 1994, abbia vinto per un pugno di voti, probabilmente anzi irregolarmente; bastava qualche voto da parte albanese, per farlo cadere, ma nonostante gli appelli da parte internazionale, preferirono il boicottaggio, e quindi, detto volgarmente, “tenersi Milosevic”). Ma le ultime mie osservazioni aprono nuovi discorsi, assai più complessi e tortuosi, che non mi interessa aprire ora, anche perché i miei tanti dubbi e cambiamenti di prospettiva non mi permettono di affrontarli con facilità.

Mi do quindi uno stop (anche perché presumo che non ne possa più! Anzi, mi scuso se l’ho frastornata con questo flusso di parole). Concludo augurandole innanzitutto, a lei che è una viaggiatrice, di intraprendere nuove esperienze, formative e gratificanti quanto immagino siano state quelle passate. Posto che vai, gente che trovi, si dice, no?
Infine le auguro che la sua visuale si arricchisca di elementi, prospettive e consapevolezze che la aiutino a sviluppare una visione quanto più complessiva e allo stesso tempo chiara.
Quando si parla di Balcani, questa credo che sia quasi un’utopia. Per questo ciò che auguro a lei lo auguro anche a me stesso, che sono ancora lontano dall’averla raggiunta.

Cordiali saluti

Martin

Thursday, May 22, 2008

(In)giustizia americana

Da Il Messaggero del 14 maggio 2008

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=24164&sez=

Commenti

Romano 35enne bloccato al controllo passaporti
negli Usa e tenuto in cella 10 giorni senza accuse

NEW YORK (14 maggio) - Arriva negli Stati Uniti per andare a trovare la fidanzata, viene fermato al controllo passaporti e messo in cella per dieci giorni senza accuse e possibilità di difendersi. E' successo a un 35enne romano, Domenico Salerno. Dieci giorni durante i quali la sua ragazza, i genitori di lei e amici di famiglia altolocati hanno tentato il possibile per farlo liberare senza successo.

L'incidente, di cui dà notizia oggi il New York Times, risale al 29 aprile. L'uomo, fresco di laurea in legge presa nella capitale, è arrivato da Roma a Washington. All'aeroporto Dulles International ha mostrato il passaporto al posto di dogana dell'aeroporto, ma un agente dell'immigrazione, nonostante avesse il passaporto in ordine, si è rifiutato di farlo entrare negli Stati Uniti. Dopo ore di interrogatorio, anziché rimpatriarlo, consentendogli di prendere il primo aereo per l'Italia, o ammetterlo nel Paese, le autorità statunitensi hanno deciso di trattenerlo. Motivo: secondo gli agenti dell'immigrazione il giovane aveva espresso timori a rientrare in Italia e aveva manifestato intenzione di chiedere asilo. Una versione smentita da Salerno.

Caitlin Cooper, la fidanzata che aspettava Salerno allo scalo di Washington, ha successivamente appreso che Domenico era stato portato in manette in una prigione della Virginia dove è rimasto per 10 giorni senza possibilità di parlare con l'esterno. A niente sono serviti interventi di personaggi influenti, come quello di John Warner, senatore della Virginia, e di due ex funzionari del servizio immigrazione assunti dalla famiglia Cooper, per liberarlo.

«Apparentemente era nato il timore che avesse intenzione di lavorare negli Usa», riporta il New York Times, precisando che il giovane italiano dà una mano nello studio legale del fratello a Roma e negli ultimi tempi è entrato più volte negli Stati Uniti. Domenico è rimasto in un capannone della Pamunkey Regional Jail di Hanover in Virginia con altri 75 uomini nelle sue condizioni fino a quando giovedì scorso un reporter del New York Times investito del caso ha contattato le autorità.

Meno di 24 ore dopo le autorità dell'immigrazione sono intervenute e hanno trasferito Salerno a Dulles, dove venerdì si è imbarcato per Roma ancora scosso per l'accaduto: «In America c'e tanta brava gente che non merita di mostrare questa brutta faccia al mondo», è stato il commento dell'italiano al giornale una volta rientrato in patria.



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Mio caro Domenico Salerno ... ne so qualcosa anch'io di cose strane che succedono in America.
Ne parlo in questo mio articolo su PeaceReporter:

http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idart=6808


Per essermi permessa delle velatissime osservazioni sull'insegnamento dell'italiano mi sono successe delle cose incredibili: sono arrivata negli States per insegnare italiano alla Purdue University - www.purdue.edu - e dopo due giorni e senza che ancora fosse iniziato il lavoro di insegnamento, solo per qualche opinione di carattere didattico, mi hanno detto di andarmene. E me ne sarei davvero dovuta andare se non avessi deciso di prendere posizione e di far rivedere il tutto.
Poi ... si legga l'articolo.
Alla fine sono rimasta. Dopo il primo semestre mi hanno confermato il contratto anche per il secondo semestre; mi hanno chiesto poi se volevo stare anche per il secondo anno accademico.
Il secondo semestre l'ho accettato perchè il progetto era di stare lì almeno un anno.
Il secondo anno invece gliel'ho tirato dietro perchè si sono permessi cose incredibili.
Ho preferito tornare in Italia, insegnare alle superiori piuttosto che in quell'università americana; avrei anche potuto concludere un Master con un secondo anno lì, ma sono contentissima di aver rifiutato quel posto. Si permettono di creare delle situazioni gravissime agli altri senza che questi abbiano fatto assolutamente niente di grave.
Nonostante questo mi sono ricandidata in altre università e altri ambienti culturali americani, perchè suppongo che non sia tutto così.
Ma non ho mai avuto il minimo ripensamento per aver rifiutato il secondo anno in quell'università.

Loiano (BO). Osservatorio astronomico.

Caravaggio .... forse.

Museo?


Sembra un museo ma con quei panni stesi al sole ...

Tuesday, May 20, 2008

Università degli Studi di Bologna (Cineteca universitaria). Particolare.


Non so se si era capito: le università italiane non mi sono molto simpatiche

Sunday, May 18, 2008

Henry James e l'Italia

Come dice topo Firmino (Sam Savage, Firmino, Einaudi, Torino, 2008), Henry James era Un Grande.
Un leit-motiv dei romanzi di Henry James è, come è noto, la contrapposizione tra un' America puritana, naiv, onesta, idealista, e un'Europa oscura, ambigua, imbrogliona, ipocrita.
Non mancano i riferimenti espliciti all'Italia, come nel romanzo 'A Portrait of a Lady' ('Ritratto di Signora', diventato anche un film famoso).
Secondo me le cose dai tempi di Henry James (fine Ottocento - inizio Novecento) non sono cambiate di molto.
In Italia prevale un'atmosfera irrespirabile di insopportabile volgarità; non so se succede solo alle donne ma quando si esce comincia il bombardamento allucinante di messaggi pornografici, per cui l'unico posto in cui si può voler stare è lontani dalla gente, in uno spazio blindato e inaccessibile.
Si va dalla pornografia più dichiarata all'ambiguità: sembra che le persone in Italia non sappiano comunicare in modo normale, e 'comunichino' invece parlando dietro alle spalle, fingendo di parlare ad altri ma mandando un messaggio a terzi, o imponendoti la loro presenza senza rispettare i tuoi spazi, avviciandosi continuamente in modo fastidiosissimo, o dando l'impressione di voler comunicare, ma rifiutando poi di parlare in modo esplicito.
Insomma ... roba per nevrotici. Se uno non è nevrotico in Italia, lo diventa di sicuro. E ringrazi il cielo se diventa 'solo' nevrotico.

Gli Americani, invece, sono molto diretti; parlano chiaro. Noi Europei diremmo naiv, ma almeno hanno il buon gusto di farsi capire bene.
Se, ad esempio, come mi è capitato, qualcuno non vuol più darti i 1000 $ che ti aveva promesso anche per iscritto, lo fa senza problemi, in modo chiaro. Te lo dice in faccia: 'Guarda, io i 1000 $ non te li voglio più dare.' E basta. Forse non hanno bisogno di giustificare tante cose, ma almeno si capisce bene. Anche quando vogliono imbrogliare, imbrogliano in maniera onesta.
Ha ragione Henry James.

Friday, May 16, 2008

Albanesi - Ebrei

Il popolo albanese ha fatto cose importanti e poco note. Fa piacere aver contribuito a valorizzarle.
Tutto è cominciato con una piccola borsa di studio datami dal Ministero degli Esteri per studiare Storia dei Balcani all'Università di Skopje, in Macedonia ...


www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idart=10600


www.oyoyoy.it/Programma_OY2.aspx#17



SABATO 24 MAGGIO


CASALE MONFERRATO

• Dalle 10,00 alle 20,00
Un ponte di libri. Fiera del libro ebraico: una fiera specializzata che costituirà la più grande libreria ebraica d'Italia, con oltre mille titoli, in italiano e in lingue straniere.

• Ore 16,00: Castello Paleologo
Lectio magistralis dello scrittore Paolo De Benedetti su Troveremo gli animali in paradiso?

• Ore 17,30: scuola Piccolo Principe in via Facino Cane
L'albero dei giusti: verrà piantato simbolicamente un ulivo dedicato all'Albania come 'paese giusto' con rimando all'unico Giardino dei Giusti italiano di Milano. Saranno presenti Roberta Barazza e Andrea Riscassi. Modera l'incontro Silvana Mossano, giornalista de La Stampa.

• Ore 18,30: cortile di Santa Croce
Incontro istituzionale per tutti gli albanesi che vivono nel territorio monferrino, con il Prefetto e il Presidente della Provincia di Alessandria, il Sindaco di Casale e il Console di Albania.
Con bar e buffet per degustazioni tipiche albanesi.

• Ore 21,00: cortile di Santa Croce
Concerto dei Fanfara Tirana, il più noto gruppo albanese di musica etnica.

Friday, May 9, 2008

Il merito, innanzitutto!

Evviva la meritocrazia!
Sapete perchè Berlusconi ha invitato la Prestigiacomo a entrare in Forza Italia e candidarsi poi per il Parlamento? Perchè è rimasto affascinato dalla sua bellezza. Lo dice lui tranquillamente.
Per carità, la bellezza sarà anche una gran bella virtù ma non è strettamente legata all'impegno politico o a competenze professionali.
Ma conta, eccome se conta. Poi per uno che ha un bel po' di tv piene di soubrette e simili professioniste, figuriamoci se non conta.
E sapete perchè Berlusconi ha fatto entrare Mara Carfagna in Forza Italia e l'ha poi avviata sempre più in là in una folgorante carriera politica? Perchè anche lei era molto bella. Ha addirittura vinto un concorso di Miss Italia. Poi ha fatto la soubrette in qualche rete televisiva e poi è finita dritta dritta, a soli 32 anni, nella lista dei ministri del nuovo governo, come la Prestigiacomo.
E non si venga a dire che questo governo è la solita gerontocrazia e non premia i giovani. Queste fanciulle sono giovanissime e, soprattutto, molto avvenenti.
Altro che certi poveracci che lavorano sui libri da mane a sera, che hanno laurea, master e un sacco di altri titoli, che vincono continuamente borse di studio e hanno molte esperienze di insegnamento e studio in giro per il mondo. Insignificanti! Questi non riescono neanche a pagarsi l'affitto di un monolocale, e in un paese che valorizza pochissimo professionalità, impegno e studio, questi non interessano nessuno.
Evviva la meritocrazia italiana!

Wednesday, May 7, 2008

... e il Ministero dell' Università e della Ricerca?

Hanno appena deciso le nomine dei ministri del nuovo Governo Berlusconi.
Ma manca quello dell' Università e della Ricerca!
Che se lo siano scordato?
O è una scelta programmatica? ... del tipo 'chi se ne frega di università e ricerca'?

Comunque io plaudo a questa decisione perchè ritengo che il mondo universitario italiano faccia tutto fuorchè interessarsi e sostenere chi mostra grande impegno e interessi culturali. Gente molto impegnata e interessata viene ancora esclusa da un elite irresponsabile che gestisce il lavoro culturale come fosse un centro di potere e di interessi economici.
Hanno perso il ministero a loro dedicato. Mica poco! Ma è una lezione che gli accademici si meritano. Speriamo però che questo non peggiori le già tristi sorti della cultura in Italia e che i cervelli in fuga non aumentino.
Staremo a vedere.

Thursday, May 1, 2008

Sicurezza? Ma per chi?

La vittoria della destra nelle ultime elezioni politiche è forse legata soprattutto al tema della sicurezza.
Gli italiani si sentono insicuri, temono le violenze che ogni giorno riempiono la cronaca.
E trattando questo tema di solito sorge una contrapposizione tra italiani e non-italiani in Italia.
La sicurezza di cui tanto si parla è spesso intesa come sicurezza per gli italiani dalle violenze degli stranieri.
Ma non si pensa forse abbastanza che il problema della sicurezza è molto più grave per gli stranieri stessi che vengono nel nostro territorio e per vivere devono accettare qualsiasi fonte di guadagno.
Mi viene in mente il caso di quel rumeno che nei giorni scorsi ha ucciso la coppia di coniugi di Verona.
Era uno straniero da poco arrivato in Italia e, come molti altri stranieri, privo di sicurezza: la sicurezza economica, la sicurezza di una casa, la sicurezza di sopravvivere, la sicurezza di potersi difendere dalle violenze che altri, italiani o non.
E salta fuori che quei coniugi, o almeno il marito, non impiegavano stranieri solo per lavorare come operai nella loro impresa, ma anche per usarli come prostituti.
Non difendo affatto l'omicidio, ovviamente, ma quel rumeno era privo delle sicurezze di base che rendono una vita normale. Privo anche della possibilità di difendersi da quelle violenze, perchè non aveva abbastanza soldi per sopravvivere.
Se vi è totale insicurezza si rischia di diventare un pericolo per tutti. Come in questo caso.
Strano che non si parli mai della sicurezza anche di chi viene in Italia.
La mancanza di sicurezza è la causa principale di tante tragedie e di tanti crimini.
L'insicurezza in cui vivono la maggior parte degli stranieri che vengono nel nostro paese è infinitamente maggiore della nostra, e allora sì c'è motivo di temerli.
Potrei anche parlare di una brutta esperienza di stalking capitata a una pesona che conosco bene.
Questa persona, italiana, ha subito, letteralmente, una persecuzione da parte di un maniaco italiano, sicuramente molto più delinquente e squilibrato di quell'imprenditore veneto che faceva avance ai ragazzi rumeni. Almeno perchè sarebbe bastato mandarlo al diavolo per liberarsene. Il maniaco italiano invece seguiva la persona ovunque.
La persecuzione di questo squilibrato è durata per anni.
Ciò naturalmente modifica e danneggia gravemente la vita di una persona, che non esce più, evita gli altri, rifiuta di comunicare per evitare un delinquente del genere e, cosa ancor più seria, rischia di perdere molti soldi perchè il suo lavoro può essere compromesso.
Questa persona è italiana e, bene o male, una sicurezza di base ce l'aveva perchè ha una casa o la casa dei propri familiari che la possono un poco sostenere anche in caso di perdite economiche.
Questa situazione non è diventata tragedia perchè una sicurezza di base c'era.
Nel caso del rumeno, e di tanti altri stanieri, manca tutto: casa, soldi ... molto spesso sono costretti a subire violenze di ogni genere senza poter scegliere troppo, visto che se vogliono qualche soldo devono accettare di tutto.
L'insicurezza porta a eccessi drammatici, come violenza e crimini.
L'emigrazione è inevitabile e necessaria anche per la nostra economia. Quindi quando si parla di sicurezza forse converrebbe preoccuparsi anche della sicurezza degli 'altri', cioè di quelli che sono considerati spesso la causa della nostra insicurezza.
Solo se anche loro hanno una sicurezza di base, tutti gli italiani possono star più tranquilli.
Il nuovo governo pensi a questo problema anche in questi termini. La sicurezza aumenta se le condizioni di vita di TUTTI quelli che vivono in Italia sono più rassicuranti.