L'Italia mostra una situazione piuttosto singolare nel panorama internazionale: chi vuol fare un dottorato, semplicemente, vada all'estero.
Se una persona preparata e motivata vuole fare un dottorato, la cosa più intelligente da dirle è: 'Lascia perdere, non perdere tempo in inutili esami dal risultato stabilito in partenza, e va' all'estero'.
Non conosco altri paesi in cui la situazione sia così chiara. Anche altrove è difficile passare la selezione per un PhD; anche altrove bisogna essere molto motivati e non è facile essere ammessi; ma in nessun altro paese si può dire categoricamente 'Qua neanche tentare: va' altrove.'
Ovviamente anche qui si fanno i dottorati, ma ha senso che si presentino agli esami solo quegli studenti a cui i professori hanno già fatto capire che lo passeranno.
Anche se ci sono state alcune modifiche, come l'introduzione dei dottorati senza borsa di studio, tutto è ancora molto mafioso.
All'estero se uno ha buone motivazioni e una decisa intenzione di lavorare seriamente ad un progetto di dottorato, il dottorato lo può fare con borsa di studio o lavorando.
In Italia non ci sono questi criteri.
I criteri assomigliano piuttosto a quelli dei partiti politici: posti di rilievo, come la direzione di un'azienda pubblica o di un ente statale, vengono affidati non a chi ha un buon curriculum vitae ma a chi ha la tessera del partito.
Nelle università italiane la cosa assomiglia a questo tipo di spartizione di potere.
E infatti sembra che più che il merito - l'Italia è una grande anti-meritocrazia - conti, nella logica delle attribuzioni di dottorati e posti di ricerca, l'appartenenza alla famiglia degli accademici - di cui un mirabile esempio è l'università di Bari -, o conoscenze personali, politiche, vincoli economici o altri discutibilissimi criteri - amanti, portaborse, persone servili che esaltano la 'luminosa superiorità' dei baroni accademici, che, proprio per questo, possono essere solo dei mediocri.
Tutto questo è ben noto e vi sono molti libri sull'argomento.
Quello che ancora sorprende è l'assurdità suicida, per il paese, di questa logica.
In vari paesi occidentali una persona intelligente, motivata e impegnata, può fare un dottorato, in Italia no.
Come non vedere un suicidio per il paese intero? E' come impedire l'alfabetizzazione. E' come impedire di laurearsi, o di continuare gli studi.
Il dottorato è un livello certo più avanzato e impegnativo di studio, ma pur sempre un corso di studi, che l'Italia letteralmente impedisce ai suoi studenti. Io non credo che tra un dottorato e un corso di laurea dovrebbero esserci delle differenze così abissali. Il dottorato richiede giustamente una selezione più severa ma dovrebbe, in un paese intelligente e avanzato, essere addirittura incoraggiato. In Italia no. Nessun professore ti dice: 'Fa' il dottorato'. Di solito ti dicono: 'Lascia perdere', come dire 'I dottorati e i posti importanti sono per noi, non per i comuni mortali'. I professori più onesti ti dicono: 'Lascia perdere in Italia, ma candidati all'estero'.
La mia relatrice di tesi di laurea un giorno ha detto piuttosto chiaramente che in fondo è giusto così: è giusto che un professore faccia passare il suo 'pupillo' perchè lo conosce bene e ne conosce il valore accademico. A me sembra invece che questo criterio sia assolutamente ingiusto perchè, innanzitutto, è lecito non dare per scontato il valore del giudizio dei benemeriti professori. Poi ai concorsi si presentano tante persone e il luminare di turno ne conosce poche. E si sa bene che in Italia solo quelli conosciuti dai professori passeranno il concorso secondo i criteri più o meno discutibili dei baroni di turno. Persone bravissime e con curricula eccellenti non hanno praticamente nessuna chance se non sono appoggiati dal professore che giudica nei concorsi.
Potrei aggiungere qualche dettaglio personale. Io stessa ad un concorso per lettore di italiano in una università in Veneto ho confrontato i miei punti con quelli di un mio amico che si presentava allo stesso concorso. Non lo dico per interesse, al contrario: io e questo mio amico abbiamo notato delle differenze di voti - a mio favore, ma del tutto ingiustificate - decisamente assurde. Io ho un Master ma non ho dottorato e questo mio amico ha due lauree e due dottorati - uno in Italia e uno all'estero - e aveva già attività di ricerca e insegnamento in università italiane. Anch'io, ma per più breve tempo. Inoltre lui aveva molte più pubblicazioni di me. Alla presetazione dei punteggi per titoli, il poveraccio è stato presentato all'orale con punti 3. Io con punti 9. La cosa non sta in piedi da nessuna parte. Vien piuttosto da pensare che questo mio amico fosse un concorrente da eliminare.
Altro dettaglio tra le mie conoscenze personali. Un mio amico era furioso perchè non ha vinto il concorso per ricercatore in Italia. La cosa strana erano i suoi commenti. Diceva che era infuriato perchè gli era stata chiaramente promessa la vittoria al concorso (no comment). Però due o tre giorni aveva telefonato al suo professore e questi gli aveva detto che purtroppo era stato assegnato ad altri. Due o tre giorni prima del concorso !!
A parte l'indecenza scandalosa, vedo in tutto questo un suicidio. E infatti la 'brain drain' continua dall'Italia.
L'Italia è un paese clientelare ... e molto stupido, perchè questo clientelismo porta a perdite gravissime di ciò che vale veramente: l'intelligenza, la competenza, la professionalità, il bagaglio di esperienze.
Quello che mi augurerei è una aumento delle possibilità di dottorati in Italia e, ovviamente, una gestione più cristallina.
Non riesco davvero a capire. Che cosa si perde a far studiare molte persone anzichè solo i quattro raccomandati scelti dal barone di turno?
Si perde il controllo di cattedre che sono anche controllo di potere economico, politico, manageriale.
Ma si perde soprattutto un numero enorme di persone qualificate che se ne vanno all'estero. E si perdono persone più colte. E' come impedire un aumento del livello di istruzione.
La cosa assurda è che qui in Italia se tu esprimi il desiderio di fare un dottorato, ti guardano come una che pretende chissacosa. E' assurdo: si pretende di studiare, di aumentare il proprio livello culturale.
E' una pretesa eccessiva anche laurearsi? In paesi poveri, in paesi ai limiti della sopravvivenza, uno che vuole studiare probabilmente incontrerà un sacco di conoscenti che gli fanno capire che è meglio che si accontenti di lavorare e che non pretenda chissacosa.
In Italia si ha spesso l'impressione di essere in un paese 'avanzato a metà'. E questa situazione dei dottorati mi sembra un buon esempio.
Il tutto è illogico. Mi auguro che aumentino di molto le possibilità per gli italiani motivati di continuare con un dottorato. Con borsa o lavorando. Uno non motivato difficilmente si sobbarca l'onere di anni e anni di studio post-laurea quando può avere già guadagni con una laurea.
Perchè ti fanno sentire 'una-che-pretende-chissacosa' quando vorresti fare un dottorato? Perchè in Italia è ancora innanzitutto un posto, non di interessante lavoro di ricerca, ma di potere e di prestigio.
Aggiungo che gli accademici italiani sono i più snob che io abbia mai conosciuto. E non ho studiato solo in Italia: ho studiato in università in Italia, Polonia, Macedonia, USA, Austria, Malta. Oltre a più brevi incontri in università di altri paesi.
In tutti gli altri paesi i professori sono piuttosto aperti, informali, comunicativi. In Italia sembra di andare alla corte di sublimi sovrani illuminati troppo importanti per degnare di uno sguardo i comuni mortali.
La cosa strana è che in Italia non ci sono le migliori università del mondo, al contrario. Da recenti sondaggi La Sapienza di Roma risulta la migliore università italiana nelle classifiche internazionali, ma è oltre il centesimo posto. Harvard, Oxford ... sono, come si sa, tra le migliori.
A questo punto questo snobismo cade nel ridicolo.
Speriamo in una liberalizzazione dei corsi di ricerca di più alto livello ... ne va dell'innalzamento del livello culturale di tutto il paese.