Mia recensione di:
Cecilia Brighi, Il Pavone e i generali. Birmania: storie di un paese in gabbia (prefazione di Savino Pezzotta e Walter Veltroni), Baldini Castoldi Dalai Editore, Milano, 2006.
Nel libro "Il Pavone e i Generali" Cecilia Brighi ha raccolto le storie raccontate dalle molte
persone fuggite dalla Birmania a causa delle continue violazioni dei diritti umani perpetrate dalla giunta militare del Pavone (il pavone è il simbolo dell' ex-Birmania, ora chiamata Myanmar).
L' ex-Birmania era il paese più ricco del Sud-Est asiatico fino agli anni '60, quando comincia la dittatura dei militari, che ancora opprime il paese. Ora è il paese più povero e oppresso.
Era stata una colonia britannica fino al 1948, quando Aung San, padre del Premio Nobel e leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi, attualmente agli arresti domiciliari a Rangoon, conquistò l'indipendenza del Paese riuscendo a mettere d'accordo le molte etnie che gli stessi inglesi colonizzatori avevano cercato di dividere per meglio controllare il Paese.
Aung San riuscì a ottenere indipendenza e democrazia nel 1948, ma il governo democratico durò solo fino al 1962, quando con un colpo di stato una giunta militare prese il potere.
Da allora vige uno spietato controllo sui cittadini, sostenuto da violenze su chiunque esprima il minimo dissenso.
L'enorme povertà in cui la popolazione è costretta a vivere e la totale mancanza di libertà di espressione hanno portato ai vasti e pacifici movimenti di protesta dell'agosto 1988, le cosiddette manifestazioni dell' 8.8.88. La reazione dei militari è stata feroce e migliaia di birmani sono stati uccisi nel giro di poche settimane. Nel 1990 le elezioni democratiche hanno portato ad una schiacciante vittoria del leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi, ma i militari si sono riimpossessati del potere, non ammettendo la sconfitta. Dello scorso settembre sono invece le proteste più recenti iniziate dai monaci buddisti e anch'esse represse nel sangue.
Scrive Cecilia Brighi: "La giunta militare birmana è una delle dittature più crudeli del mondo. Forse solo in Corea del Nord i controlli sono così capillari. I servizi segreti hanno informatori ovunque, pronti a denunciare qualsiasi impercettibile diversità."
Non solo i birmani hanno limitatissima libertà di opinione e azione, ma l'informazione sul Paese stesso è completamente controllata dal regime e ben poco di ciò che vi succede trapela oltre i confini. Tutto il potere è in mano ai militari che si spartiscono anche le enormi ricchezze del paese. La Birmania era il paese dell'oro, dell'argento e delle pietre preziose. Ora, dopo l'Afganistan, è il secondo paese esportatore di oppio, e la gente riesce a malapena a sopravvivere.
Il libro di Cecilia Brighi, con la prefazione di Walter Veltroni e Savino Pezzotta, racconta le storie di molti birmani che ora vivono all'estero e che sono scappati dal loro paese per sfuggire a morte o sicure violenze, spesso lasciandovi tutti i propri averi e i propri affetti.
Come le notizie più recenti rivelano, violenze, torture, uccisioni, stupri e deportazioni forzate non sono finiti. Aung San Suu Kyi è ancora agli arresti domiciliari. Gli stati che commerciano con la Birmania non sembrano disposti a rinunciare ai propri interessi economici per difendere i diritti umani qui violati.
Come il Darfur, il Kashmir o la Colombia, la Birmania è un paese che conosce condizioni umane terribili ma che raramente compare tra le notizie di attualità, per l'indifferenza del resto del mondo, e per il totale controllo del regime sui mezzi di informazione.
Il Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi è ancora nella sua casa a Rangoon, in via dell'Università. Potrebbe vivere comodamente all'estero, e la giunta militare sarebbe ben lieta di liberarsi di una presenza così scomoda, ma non lo fa e non ha voluto andare all'estero neanche quando suo marito in Inghilterra stava per morire, perchè significava abbandonare il suo popolo nelle mani degli aguzzini in uniforme.
Un prezioso aiuto al sostegno della causa della democrazia è dato da coloro che hanno lasciato il paese. Molti si sono rifugiati in Tailandia. Altri più lontano. Sono loro i protagonisti di queste storie e grazie a loro il mondo viene a sapere come si vive e si muore in Myanmar.
Nel libro "Il Pavone e i Generali" Cecilia Brighi ha raccolto le storie raccontate dalle molte
persone fuggite dalla Birmania a causa delle continue violazioni dei diritti umani perpetrate dalla giunta militare del Pavone (il pavone è il simbolo dell' ex-Birmania, ora chiamata Myanmar).
L' ex-Birmania era il paese più ricco del Sud-Est asiatico fino agli anni '60, quando comincia la dittatura dei militari, che ancora opprime il paese. Ora è il paese più povero e oppresso.
Era stata una colonia britannica fino al 1948, quando Aung San, padre del Premio Nobel e leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi, attualmente agli arresti domiciliari a Rangoon, conquistò l'indipendenza del Paese riuscendo a mettere d'accordo le molte etnie che gli stessi inglesi colonizzatori avevano cercato di dividere per meglio controllare il Paese.
Aung San riuscì a ottenere indipendenza e democrazia nel 1948, ma il governo democratico durò solo fino al 1962, quando con un colpo di stato una giunta militare prese il potere.
Da allora vige uno spietato controllo sui cittadini, sostenuto da violenze su chiunque esprima il minimo dissenso.
L'enorme povertà in cui la popolazione è costretta a vivere e la totale mancanza di libertà di espressione hanno portato ai vasti e pacifici movimenti di protesta dell'agosto 1988, le cosiddette manifestazioni dell' 8.8.88. La reazione dei militari è stata feroce e migliaia di birmani sono stati uccisi nel giro di poche settimane. Nel 1990 le elezioni democratiche hanno portato ad una schiacciante vittoria del leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi, ma i militari si sono riimpossessati del potere, non ammettendo la sconfitta. Dello scorso settembre sono invece le proteste più recenti iniziate dai monaci buddisti e anch'esse represse nel sangue.
Scrive Cecilia Brighi: "La giunta militare birmana è una delle dittature più crudeli del mondo. Forse solo in Corea del Nord i controlli sono così capillari. I servizi segreti hanno informatori ovunque, pronti a denunciare qualsiasi impercettibile diversità."
Non solo i birmani hanno limitatissima libertà di opinione e azione, ma l'informazione sul Paese stesso è completamente controllata dal regime e ben poco di ciò che vi succede trapela oltre i confini. Tutto il potere è in mano ai militari che si spartiscono anche le enormi ricchezze del paese. La Birmania era il paese dell'oro, dell'argento e delle pietre preziose. Ora, dopo l'Afganistan, è il secondo paese esportatore di oppio, e la gente riesce a malapena a sopravvivere.
Il libro di Cecilia Brighi, con la prefazione di Walter Veltroni e Savino Pezzotta, racconta le storie di molti birmani che ora vivono all'estero e che sono scappati dal loro paese per sfuggire a morte o sicure violenze, spesso lasciandovi tutti i propri averi e i propri affetti.
Come le notizie più recenti rivelano, violenze, torture, uccisioni, stupri e deportazioni forzate non sono finiti. Aung San Suu Kyi è ancora agli arresti domiciliari. Gli stati che commerciano con la Birmania non sembrano disposti a rinunciare ai propri interessi economici per difendere i diritti umani qui violati.
Come il Darfur, il Kashmir o la Colombia, la Birmania è un paese che conosce condizioni umane terribili ma che raramente compare tra le notizie di attualità, per l'indifferenza del resto del mondo, e per il totale controllo del regime sui mezzi di informazione.
Il Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi è ancora nella sua casa a Rangoon, in via dell'Università. Potrebbe vivere comodamente all'estero, e la giunta militare sarebbe ben lieta di liberarsi di una presenza così scomoda, ma non lo fa e non ha voluto andare all'estero neanche quando suo marito in Inghilterra stava per morire, perchè significava abbandonare il suo popolo nelle mani degli aguzzini in uniforme.
Un prezioso aiuto al sostegno della causa della democrazia è dato da coloro che hanno lasciato il paese. Molti si sono rifugiati in Tailandia. Altri più lontano. Sono loro i protagonisti di queste storie e grazie a loro il mondo viene a sapere come si vive e si muore in Myanmar.
(Roberta Barazza)