Quando si dice "serial" in Italia, se non si pensa subito ad un killer maniaco, viene in mente una serie di episodi televisivi che, di solito, fanno rima con soap opera o telenovelas: insomma, cose che piacciono al grande pubblico, ma che sono piuttosto disprezzate da chi ha un po' di cultura.
Chissà se anche in Germania questo termine ha una connotazione un po' negativa. Se ce l'ha, comunque, la serie di episodi "Heimat" di Reitz fa eccezione di certo.
Mi sono vista tutti d'un fiato gli 11 episodi del primo "Heimat", e mi sono piaciuti molto: la storia di una famiglia tedesca di Schabbach, dall'inizio del '900 fino agli anni '80, è l'occasione per ripercorrere la Storia della Germania del '900. Episodi coinvolgenti e intelligenti. Unico punto debole, non nel senso del valore dei film, ma nel senso di una divergenza di opinioni sulla concezione della vita: sembra che abbiano ragione, alla fine, coloro che restano nel paese, coloro che non si allontanano troppo.
Contano un po' troppo le proprie origini. Paul, l'Americano, alla fine ammette di essere uno sconfitto anche se è diventato un imprenditore miliardario, perché ha trascurato, possiamo quasi dire, Kinder, Kueche und Kirche. Anche Hermann, compositore di livello internazionale, dichiara, di aver abbandonato troppo il suo paese e le sue radici, e di non aver, quindi, capito molto di ciò che vale nella vita. Contano un po' troppo Blut und Land. Ma in fondo il film finisce negli anni '80, e anche quelli che erano progressisti ai quei tempi ora, forse, appaiono già conservatori.