Wednesday, May 27, 2009
Niente lauree in giornalismo in Italia
Mistero.
Lauree in giornalismo ce ne sono in tutta Europa, in America, in molti altri paesi.
In Italia no.
Strano perchè agli accademici non par vero di inventare corsi di laurea o indirizzi anche assurdi pur di garantirsi finanziamenti pubblici o cattedre.
Rinnovo graduatorie delle scuole. Come evitare noie e ricorsi.
Quando vengono rinnovate le graduatorie degli insegnanti, ogni ufficio scolastico regionale (ex-provveditorato) deve fare un grande lavoro di ridefinizione dei punteggi di ogni insegnante.
Cosa fondamentale per la prosecuzione del lavoro di insegnamento e per gli incarichi degli anni successivi. Vi è sempre grande attesa e preoccupazione perchè anche solo un punto in più in graduatoria può significare molte ore in più di lavoro o un contratto di un anno, anzichè continue brevi supplenze.
Anche quest'anno gli insegnanti si sono presentati a maggio con i loro documenti per il rinnovo del punteggio.
Anche quest'anno, in caso di errori nel rinnovo delle graduatorie, gli insegnanti avranno tempo solo 5 giorni per protestare o far ricorso al TAR.
Un periodo così breve è già di per sè molto anomalo.
C'è da aggiungere che NON SI SA quando usciranno le graduatorie rinnovate. Non c'è una data fissa per ogni provveditorato. I provveditorati stessi non hanno idea di quando finiranno il lavoro di rinnovo dei punteggi. Forse lo sapranno qualche giorno prima.
Agli insegnanti non resta che controllare quasi ogni giorno se le graduatorie sono state pubblicate. Dopodichè, in soli 5 giorni devono decidere eventuali ricorsi. In estate, oltretutto, quando molti sono in vacanza o lontano da casa.
Mi sembra un modo per evitare noie. Gli errori sono frequenti, ma in questo modo pochi possono presentare ricorso.
Brunetta non ha nulla da ridire?
Saturday, May 23, 2009
'Mamma mia!', film-musical di Phyllida Lloyd
Però è un concentrato di stereotipi.
Da dove salta fuori il titolo se l'Italia non c'entra proprio? Vien da pensare che gli americani che l'hanno prodotto abbiamo inventato una vaga ambientazione mediterranea confondendo Italia con Grecia.
I protagonisti sono americani o nord-europei. Le scene sono girate in splendide isole greche da cartolina.
I protagonisti sono moderni, emancipati, liberi da inibizioni, idealisti e pieni di soldi. Insomma, la classica immagine degli americani spacconi e brillanti che, poveri loro, si trovano in un paese mediterraneo bellissimo e pieno di splendidi paesaggi naturalistici, ma abitato da persone povere, ignoranti, brutte, piccole e nere. E sono pure dispettose.
La povera americana (Meryl Streep, per intenderci) costretta, quasi suo malgrado, a rimanere in Grecia per molti anni, si lamenta di essere sempre squattrinata e sogna, almeno scherzando, un uomo ricco che, guarda caso, arriva dopo 5 minuti di film. Come si sa gli americani amano i racconti un po' fiabeschi e a lieto fine.
Comunque in una commedia le immagini stereotipate contribuiscono al divertimento. Ad esempio l'ospite inglese schizzinoso è il prototipo del ricco banchiere della City che, anche se si trova a soggiornare nella stanza delle capre dell'isola greca, chiede se per cortesia può far stirare bene i pantaloni.
La canzone posta nel momento più significativo del film è molto bella.
Ne riporto il testo.
I don't wanna talk / about things we've gone through
though it's hurting me / now it's history
I've played all my cards / and that's what you've done, too
nothing more to say / no more ace to play
the winner takes it all / the loser standing small
beside the victory / that's her destiny
I was in your arms / thinking I belonged there
I figured it made sense / building me a fence
building me a home / thinking I'd be strong there
but I was a fool / playing by the rules
the gods may throw the dice /their minds as cold as ice
and someone way down here / loses someone dear
The winner takes it all / the loser has to fall
it's simple and it's plain /why should I complain?
But tell me does she kiss / like I used to kiss you?
Does it feel the same / when she calls your name?
somewhere deep inside / you must know I miss you
but what can I say? / rules must be obeyed
The judges will decide / the likes of me abide
spectators at the show / always staying low
The game is on again / a lover or a friend
a big thing or a small / the winner takes it all
I don't wanna talk / 'cause it makes me feel sad
and I understand / you've come to shake my hand
I apologise / if it makes you feel bad
seeing me so tense / no self-confidence, but you see
the winner takes it all / the winner takes it all
the game is on again / a lover or a friend
a big thing or a small / the winner takes it all
so the winner takes it all / and the loser has to fall
so the winner takes it all / and the loser has to fall
so the winner takes it all
Ammissione alla maturità
Il prossimo anno sembra che si possa essere ammessi solo se si hanno tutti sei. Se un alunno ha tutti otto, e un solo cinque, non viene ammesso alla maturità.
Speriamo che prima del prossimo anno i nostri illustri governanti cambino idea.
Credo sia una pessima idea. Tra i miei alunni ci sono dei ragazzi con voti molto alti in tutte le materie eccetto una: matematica, soprattutto. E sembra che quasi tutti gli alunni abbiano voti bassi nella stessa materia.
Il problema di una simile iniziativa è proprio che può essere determinante una materia che forse è il punto debole degli alunni, certo, ma forse lo è del professore stesso. A volte una generale incomprensione di una materia dipende dall'incapacità del professore di spiegare in modo chiaro. Per non dire poi che, da che scuola è scuola, vi sono professori che si accaniscono contro certi alunni. Criteri di valutazione non troppo cristallini esistono ovunque. Lasciare che una sola materia sia determinante vuol dire aumentare l'arbitrio nel decidere sulla preparazione di un alunno.
Portatori di handicap
Sono rimasta sorpresa dalla madre dell'alunno: deve essere una signora molto forte e molto positiva. Trattava ciò che mi sembrava un problema enorme con estrema tranquillità. Dopo aver parlato qualche volta con lei, l'handicap appariva come un problema come tanti, una situazione un po' faticosa, ma un modo di vivere come tutti gli altri, solo un po' più complicato. Ammirevole.
Wednesday, May 20, 2009
Collegio docenti
A dire il vero, votare a favore o contro l'adozione di un libro di testo piuttosto che di un altro da parte di un collega (per le sue lezioni!), non è troppo appassionante.
Ciò che al collegio di oggi ho trovato molto intrigante era l'analisi dei gruppi sociali che fanno parte del collegio docenti e la loro reazione agli argomenti trattati.
E' una sorta di analisi sociologica sulla recezione di certi messaggi socio-culturali.
Mi spiego meglio.
Avevo dietro di me un vasto gruppo di colleghi che, nel primo periodo del collegio, chiacchieravano ad alta voce e senza la minima inibizione, per cui ti vien da pensare che debbano essere, per coerenza, molto comprensivi con gli allievi rompiscatole. Nel secondo periodo erano già più attenti e seguivano i discorsi degli oratori.
Mi divertivo a seguire le reazioni del pubblico.
Dietro avevo questi ex-chiacchieroni un po' anarchici, e davanti un vasto gruppo di colleghi più composti, seduti, tranquilli e più silenziosi.
Hanno parlato vari oratori: il preside e un paio di vicepresidi seduti in cattedra, e alcuni colleghi intervenuti dal pubblico.
Quando parlavano i capi - presidi e vicepresidi - si notava una certa generale noia e distrazione. Quando vi sono stati degli interventi da parte di qualche collega, si notava una forte differenza tra i due gruppi succitati.
Il gruppo dietro batteva le mani a sostegno degli interventi molto critici. Quando un collega interveniva per criticare la 'classe dirigente', vi erano calorosi applausi di sostegno. Il gruppo davanti, invece, non si scomponeva troppo.
Vi sono stati vari interventi interessanti ma, secondo me, troppo cavillosi, cervellotici e non proprio di buon senso. Non erano troppo positivi perchè certe sottigliezze vanno bene in sede di riflessione personale o di classe sugli studenti, non tanto quando è necessario organizzare un vasto lavoro comune con delle direttive valide per tutti.
A questi interventi sottili, critici, in qualche modo anti-establishment, corrispondeva un sostegno convinto da parte dei creativi-anarchici che avevo alle spalle.
Questo stesso gruppo non era per niente interessato o incoraggiante quando parlavano i 'padroni'.
Per questo ho pensato che rappresentassero il gruppo sociale dei ribelli-anarchici-sinistroidi-anti-establishment.
Gli altri invece sembravano piuttosto integrati, piccolo borghesi più consenzienti e meno critici verso l'autorità.
Il bastone e la carota del governo Berlusconi
Mi sembravano idee giuste fino a ieri. Mi sembrava ci fosse la volontà di far rispettare di più la legge in Italia.
Da ieri, questa pretesa maggiore serietà da parte dello stato perde credibilità: non è più credibile uno stato che controlla i suoi dipendenti o i suoi cittadini in nome di chissaché giusto rigore, se chi lo dirige, accusato, non di qualche ora di assenza, bensì di cose molto più gravi, si è costruito, col potere che ha, il diritto di non rispettare la legge e non sottoporsi al giudizio dei tribunali.
Tutto questa presunta serietà da parte dello stato appare ora una farsa: il bastone per il popolo e la carota per chi comanda.
Tuesday, May 19, 2009
E' illegale mendicare a Kabul
E' illegale mendicare a Kabul
Qualche tempo fa aveva suscitato sorpresa, in Italia, il provvedimento che proponeva di mettere fuorilegge i mendicanti e i barboni.
Molti si sono opposti; la Chiesa ha accusato il governo di voler nascondere la povertà anziché risolverla.
Che un proposta simile sia stata presa in considerazione anche dalle autorità afgane, sorprende di certo ancor più. Ma è proprio vero.
Come riporta Radio Free Afghanistan, il governo di Kabul ha deciso di allontanare tutti i mendicanti dalle strade della capitale. La decisione è stata presa lo scorso novembre dal Consiglio dei Ministri presieduto dal Presidente Karzai.
Il provvedimento viene giustificato dal fatto che molti mendicanti vengono arruolati da bande di criminali per essere sfruttati come fonte di guadagno.
Una volta individuati, i vari mendicanti, bambini, vedove, mutilati, disoccupati o drogati verranno assegnati a orfanatrofi, case assistenziali o prigioni.
Molti cittadini lamentano che, se qualcuno nella loro famiglia non potrà più chiedere l'elemosina, la famiglia non avrà abbastanza per sopravvivere.
Da Radio Free Afghanistan:
http://www.rferl.org/content/Afghan_Government_Removes_Beggars_From_Kabul_Streets_/1620259.html
Sunday, May 17, 2009
Due film sui lavoratori precari
Paolo Virzì, Tutta la vita davanti.
Obino, Il Vangelo secondo Precario.
Da vedere entrambi. Interessanti non solo perché parlano del lavoro precario. Sono situazioni spesso drammatiche, anche se i film ironizzano. Al confronto la mia situazione lavorativa è quasi idilliaca. Interessanti anche perchè fanno pensare che in Italia si è quasi costretti ad essere imbecilli. Come si dice spesso, se sei intelligente, o te ne vai, o vieni a patti con una società di basso livello.
Per me è significativo e rassicurante: mi sento meno strana; faccio una vita estremamente ritirata in Italia; anch'io sono disgustata dall'enorme bassezza e volgarità da cui si è circondati.
Saturday, May 16, 2009
I viaggi della speranza non sono tranquille scampagnate
Diceva che i clandestini devono almeno conservare il loro documento d'identità se vogliono essere riconosciuti dalle autorità del paese ospitante.
Un invito al rispetto delle regole è ovviamente giustissimo, ma sembra che i nostri governanti non siano molto informati su che tipo di viaggi siano quelli della speranza.
In un libro che uscirà presto, ho raccolto alcune storie di migranti arrivati in Italia dopo viaggi allucinanti.
Una di queste persone non avrebbe potuto tenere con sè il documento d'identità perchè, se glielo avessero trovato addosso in uno dei paesi in cui è passato, avrebbe rischiato la libertà, se non la vita. Questo, a causa dei rapporti politici conflittuali tra i vari paesi, di cui i civili molto spesso sono solo le vittime.
In uno dei miei racconti si leggerà che, per passare il deserto del Sahara, i migranti erano in totale balia di trafficanti che cercavano di estorcergli tutto: a metà deserto sembra sia consuetudine chiedere ancora soldi; se le persone non ne hanno, gli aguzzini li privano di acqua e cibo, e li minacciano di farli scendere dal mezzo e abbandonarli.
Molte di queste persone finiscono in prigioni in cui subiscono di tutto. Figuriamoci se possono essere certi che le guardie non toccheranno i loro passaporti.
In situazioni simili, avere il documentino ben piegato nella bustina di plastica è l'ultima preoccupazione dei poveracci che fanno queste traversate. E queste traversate non le fanno per avere qualche soldo in più, o per fare vita più comoda, come vorrebbe il nostro Premier, quanto, molto più spesso, per sfuggire a violenze, torture, mancanza di libertà o di mezzi indispensabili per sopravvivere.
Thursday, May 14, 2009
Riconsegnare i migranti alla Libia?
Cufra è una città nel sud della Libia dove transitano molti clandestini diretti in Europa.
http://it.wikipedia.org/wiki/Cufra
Cufra sulla rotta dei migranti [modifica]
Cufra è un luogo di passaggio e di sosta obbligato per i migranti provenienti dalla costa orientale dell’Africa e del Vicino Oriente. Piccolo villaggio di transito lungo la rotta tradizionale tra Khartum e le città libiche della costa, è diventata negli ultimi anni il punto principale di raccordo tra le organizzazioni criminose libico-sudanesi dedite al trasporto illegale di migranti, le autorità di polizia di frontiera, e il bisogno di braccia per le attività produttive locali.
Già oggetto di numerose denunce e ispezioni di delegazioni parlamentari europee, il villaggio libico di Cufra è stato definito recentemente[1] “una zona franca, una sorta di CPT di partenza, fuori dalla sovranità della legge... È in questi centri di raccolta che avvengono i primi contatti tra le organizzazioni criminali che promuovono il "viaggio della speranza", con una gestione flessibile delle rotte in rapporto agli indirizzi di contrasto dei diversi governi. I cervelli delle organizzazioni criminali analizzano quanto accade nei singoli paesi e agiscono di conseguenza: se si accentua la repressione in Marocco, le rotte si spostano sulle Canarie, se si intensificano i controlli sulla Libia, si dirottano i flussi su Malta; passata l’ondata, si ritorna in Libia o in Tunisia."
Il tragitto di 1500 km verso le città libiche della costa viene svolto di notte su camion coperti in condizioni di viaggio che sono descritte come "infernali". Spesso intercettati dalla polizia, il tragitto viene ripercorso più volte nelle due direzioni. Una volta arrivati, o riportati, a Cufra, l’unica strada per uscirne è pagare i mercanti di uomini spesso collusi con le locali forze di polizia. Ricondotti verso il confine con il Sudan, solo il possesso di contanti può far invertire la marcia: di qui i continui soprusi, l’arruolamento nel mercato irregolare del lavoro o della prostituzione, l’angosciosa aspettativa di un vaglia sollecitato da parenti o amici via comunicazioni cellulari che vengono permesse solo a questo scopo.
La prigione di Cufra è definita[2] da migranti etiopi ed eritrei che vi hanno soggiornato come
« ...un luogo di morte. Quando senti il rumore delle chiavi nella serratura della cella ti si gela il sangue. Devi voltarti verso il muro. Se li guardi negli occhi ti riempiono di botte »
(Daniel, 22 anni, eritreo)
« Eravamo almeno 700, circa 100 etiopi, 200 eritrei e 400 da Chad e Sudan. Dormivamo per terra, uno sull’altro, non c’era nemmeno il posto per sdraiarsi. Pranzo unico: un pugno di riso bianco per tutta la giornata, 20 grammi a testa. C’erano anche delle baguette, ma per quelle bisognava pagare... »
(un ex-colonnello dell’esercito eritreo rifugiato politico in Italia)
« Io quando ho visto Cufra volevo impiccarmi. Mi avevano portato via il cellulare e tutti i soldi che avevo in tasca e mi avevano sbattuto in cella con altre 20 persone. Non ti dico lo sporco, la fame, le umiliazioni continue. C’erano anche delle celle per le donne e bambini. Le tenevano a parte. Le donne non te lo diranno mai per vergogna, ma è bene che si sappia quello che fanno alle donne a Cufra. Le stupravano davanti ai mariti, ai fratelli. Usavano ferri, bastoni... E’ vergognoso. Ci trattavano come bestie. »
(Yakob, giovane eritreo)
Così Cufra (come Dirkou in Niger, Oujda in Marocco, Nouadhibou in Mauritania, Tinzouatine in Algeria, ecc.) sono i nuovi luoghi della tratta umana e dello sfruttamento della condizione di migranti clandestini lungo le rotte del Sahara. Secondo Gabriele Del Grande, “il giro d’affari dell’emigrazione clandestina nel Sahara, tra estorsioni e razzie vale fino a 20 milioni di euro l’anno. Soldi che vanno in tasca a passeurs e militari. I clandestini sono spremuti fino all’ultimo centesimo. E chi rimane al verde è un uomo morto. In centinaia, se non addirittura in migliaia, vivono bloccati da anni nelle oasi di Dirkou e Madama. Sono i nuovi schiavi dei tuareg. Ragazzi e ragazze, lavorano giorno e notte per un pugno di riso e pochi centesimi. La vita nel deserto è appesa a un filo. Se il motore va in panne, l’auto si insabbia o l’autista decide di abbandonare i passeggeri e tornarsene indietro da solo, è finita. Nel raggio di centinaia di chilometri non c’è altro che sabbia.”[3]
La non-legge della Libia
Sarà vero?
Sembra di no, se si legge l'articolo di PeaceReporter:
http://it.peacereporter.net/articolo/13144/Bollettino+migranti
La situazione dei disperati che nel viaggio verso una vita migliore finiscono imprigionati nella non-legge della Libia
Almeno 41 morti alle frontiere europee a novembre. Otto migranti sono annegati nel Canale di Sicilia, 4 alle Canarie, e 21 al largo dell'isola francese di Mayotte, nell'oceano Indiano. Sei vittime nel deserto algerino e due in Grecia. Reportage dalla Libia: siamo entrati nel carcere di Misratah
Di notte, quando cessano il vociare dei prigionieri e gli strilli della polizia, dal cortile del carcere si sente il rumore del mare. Sono le onde del Mediterraneo, che schiumano sulla spiaggia, a un centinaio di metri dal muro di cinta del campo di detenzione. Siamo a Misratah, 210 km a est di Tripoli, in Libia. E i detenuti sono tutti richiedenti asilo politico eritrei, arrestati al largo di Lampedusa o nei quartieri degli immigrati a Tripoli. Vittime collaterali della cooperazione italo libica contro l'immigrazione. Sono più di 600 persone, tra cui 58 donne e diversi bambini e neonati. Sono in carcere da più di due anni, ma nessuno di loro è stato processato. Dormono in camere senza finestre di 4 metri per 5, fino a 20 persone, buttati per terra su stuoini e materassini di gommapiuma. Di giorno si riuniscono nel cortile di 20 metri per 20 su cui si affacciano le camere, sotto lo sguardo vigile della polizia. Sono ragazzi tra i 20 e i 30 anni. La loro colpa? Aver tentato di raggiungere l'Europa per chiedere asilo.
Da anni la diaspora eritrea passa da Lampedusa. Dall'aprile del 2005 almeno 6.000 profughi della ex colonia italiana sono approdati sulle coste siciliane, in fuga dalla dittatura di Isaias Afewerki. La situazione a Asmara continua a essere critica. Amnesty International denuncia continui arresti e vessazioni di oppositori e giornalisti. E la tensione con l'Etiopia resta alta, cosicché almeno 320.000 ragazzi e ragazze sono costretti al servizio militare, a tempo indeterminato, in un paese che conta solo 4,7 milioni di abitanti. Molti disertano e scappano per rifarsi una vita. La maggior parte dei profughi si ferma in Sudan: oltre 130.000 persone. Tuttavia ogni anno migliaia di uomini e donne attraversano il deserto del Sahara per raggiungere la Libia e da lì imbarcarsi clandestinamente per l'Italia.
Il direttore del centro, colonnello ‘Ali Abu ‘Ud, conosce i report internazionali sulle carceri libiche e in particolare Misratah, ma respinge le accuse al mittente: "Tutto quello che dicono di noi è falso" dice sicuro di sé seduto alla scrivania, in giacca e cravatta, dietro un mazzo di fiori finti, nel suo ufficio al primo piano. Dalla finestra si vede il cortile dove sono radunati oltre 200 detenuti. Abu ‘Ud ha visitato nel luglio 2008 alcuni centri di prima accoglienza italiani, insieme a una delegazione libica. Parla di Misratah come di un albergo a cinque stelle comparato agli altri centri libici. E probabilmente ha ragione. Il che è tutto un dire. Dopo una lunga insistenza, siamo autorizzati a parlare con i rifugiati eritrei. Scendiamo nel cortile. S. parla liberamente: "Fratello, siamo in una pessima situazione, siamo torturati, mentalmente e fisicamente. Siamo qui da due anni e non conosciamo quale sarà il nostro futuro. Puoi vederlo da solo, guarda!" Intanto l'interprete traduce tutto al direttore del campo, che interrompe immediatamente l'intervista e ci allontana di peso dai rifugiati.
Saliamo di nuovo nel suo ufficio. Con toni molto nervosi, il colonnello cerca di convincerci del suo impegno. Per ben due volte l'ambasciata eritrea ha inviato dei funzionari per identificare i prigionieri. Ma i rifugiati hanno sempre rifiutato di incontrarli. Hanno addirittura organizzato uno sciopero della fame. Comprensibile, visto che rischiano di essere perseguitati in patria. La Libia dovrebbe averlo capito da un pezzo, visto che il 27 agosto 2004 uno dei voli di rimpatrio per l'Eritrea partiti da Tripoli venne addirittura dirottato in Sudan dagli stessi passeggeri. Ma il concetto di asilo politico sfugge alle autorità libiche. Eritrei o nigeriani, vogliono tutti andare in Europa. E visto che l'Europa chiede di controllare la frontiera, l'unica soluzione sono le deportazioni. E per chi non collabora con le ambasciate - come i rifugiati eritrei - la detenzione diventa a tempo indeterminato. Così per tornare in libertà non rimangono che due possibilità. Avere la fortuna di rientrare nei programmi di reinsediamento all'estero dell'Alto commissariato dei rifugiati (Acnur) - che finora hanno interessato circa 200 rifugiati, tra cui 70 arrivati in Italia - oppure provare a scappare.Koubros ha fatto così. Lo incontro sulle scale della chiesa di San Francesco, nel quartiere Dhahra di Tripoli, dopo la messa del venerdì mattina. Un gruppo di eritrei è in fila per lo sportello sociale della Caritas, dove lavora l'infaticabile suor Sherly. A Misratah ha passato un anno. Era stato arrestato a Tripoli durante una retata nel quartiere di Abu Selim. E' scappato durante un ricovero in ospedale. Poi però è stato di nuovo arrestato e portato al carcere di Tuaisha, vicino all'aeroporto di Tripoli. Lì è riuscito a corrompere un poliziotto facendosi inviare 300 dollari dagli amici eritrei in città. Gli chiedo di accompagnarci nel quartiere di Gurgi, dove vivono gli eritrei pronti a partire per l'Italia.
Scendiamo in una traversa sterrata di Shar‘a Ahad ‘Ashara, l'undicesima strada. Qui vivono molti immigrati africani. La piccola stanza è sul terrazzo. Ci togliamo le scarpe per entrare. I pavimenti sono coperti di tappeti e coperte. I muri spogli. Ci dormono in cinque ragazzi. La televisione, collegata alla grande parabola montata sul terrazzo, manda in onda videoclip in tigrigno di cantanti eritrei. E' un posto sicuro, dicono, perchè l'ingresso della casa passa dall'appartamento di una famiglia chadiana, che è a posto coi documenti. Si sono trasferiti qui da poco, dopo le ultime retate a Shar‘a ‘Ashara. Adesso quando sentono la sirena della polizia non ci fanno più caso. Prima si correvano a nascondere. Ci offrono cioccolata, una salsa di patate e pomodoro con del pane, 7-Up e succo di pera. Sul muro, accanto al poster di Gesù, c'è una foto in bianco e nero di una bambina di pochi anni, con su scritto il suo nome, Delina, con il pennarello. L'ho riconosciuta. E' la stessa bambina che giocava sulle scale della chiesa. Anche lei dovrà rischiare la vita in mare. "L'importante è arrivare nelle acque internazionali", dice Yosief. Gli intermediari eritrei (dallala) che organizzano i viaggi, hanno diverse reputazioni. Ci sono intermediari spregiudicati e altri di cui ci si può fidare. Ma il rischio rimane. Non posso non pensarci, mentre sull'aereo di ritorno per Malta, comodamente seduto e un po' annoiato, sfoglio la mia agenda con i numeri di telefono e le email dei ragazzi eritrei conosciuti a Tripoli. Buona fortuna Delina.
Grabriele Del Grande*
Wednesday, May 13, 2009
L'emigrazione clandestina e l'ipocrisia della diplomazia.
Però resta il fatto che l'Italia è il paese in cui più facilmente si entra clandestinamente.
Dall'Africa pochissimi cercano di sbarcare in Grecia o in Spagna perchè i controlli sono molto più severi e le guardie di frontiera, o ti ricacciano via, o sparano senza tanti problemi.
In Italia è più facile essere accolti, e in fondo è vero che l'Italia in questo modo si sobbarca il peso dell'accoglienza molto più di altri paesi europei. Ci sono anche più stranieri in Francia o Germania, ma in Italia sembra più facile entrare clandestinamente.
Allora che fare?
Secondo me fuori regola non sono tanto i cladestini, quanto le leggi della diplomazia internazionale.
La maggior parte dei clandestini viene poi effettivamente accettata come persone che hanno diritto all'asilo politico o al permesso per scopi umanitari. Per ottenerlo però fanno dei viaggi tremendi, con gravissimi rischi per la propria vita, e buttano via tutto quello che possiedono.
Se queste persone ricevono il permesso, perchè non mettere nei loro stessi paesi delle sedi diplomatiche in cui possono chiedere l'asilo senza correre troppi rischi? Ci sono già, ovviamente le sedi diplomatiche, ma perchè, ad esempio, il governo italiano non riconosce lì il loro diritto di andarsene? Se uno straniero raggiunge un paese e viene accettato come avente diritto di asilo politico o umanitario, vuol dire che ce l'ha questo diritto. Ma allora perchè non lo può ottenere nel suo paese e poi partire? Ovviamente non è facile, nel paese di un dittatore, dichiarare che in quel paese la gente subisce troppe ingiustizie.
Secondo me l'illegalità dell'emigrazione clandestina dimostra non tanto la clandestinità degli emigranti - infatti i loro diritti sono poi davvero riconosciuti - quanto la scorrettezza, la debolezza e l'ipocrisia del lavoro diplomatico.
Non si capisce perchè, se all'arrivo in Italia ricevono il visto come rifugiati politici, non possano ricevere lo stesso visto nella loro terra rivolgendosi alle varie ambasciate o anche ad una sede dell'ONU disposta a riconoscere i loro diritti.
In fondo è un po' vero che l'ONU si lava le mani. Perchè non potrebbe rilasciare permessi nei paesi stessi in cui si trovano queste persone?
L'ONU poi critica i vari paesi che eludono le leggi sull'emigrazione, ma non è forse anche loro responsabilità risolvere questi problemi?
Se una persona riceve in una sede diplomatica locale un permesso per entrare in un paese democratico, al limite può essere un rischio uscire dal paese in cui di sicuro non apprezzeranno questo lasciapassare. Ma se poi hanno già questo permesso, raggiungere il paese meta diventa molto più semplice e non occorre dipendere dai trafficanti di esseri umani.
Tuesday, May 12, 2009
L'Italia è un paese razzista
Oggi alcuni miei colleghi, cioè professori di scuola superiore, dicevano che gli stranieri dovrebbero tornarsene a casa loro.
Secondo me discorsi così li possono fare solo persone di livello culturale molto basso. Aldilà delle opinioni politiche o personali, credo che una persona che insegna, cioè che propone e diffonde cultura, questi discorsi non se li può permettere perchè sono tutto fuorchè cultura. A scuola gli insegnanti sono tenuti, a ragione, a parlare di rispetto delle altre culture, di integrazione, di considerazione dei problemi in cui vivono le persone nel mondo.
Passiamo ora alle parole scandalose del Premier Berlusconi.
Le ho trascritte quasi alla lettera ascoltando il suo intervento alla TV oggi, 12 maggio 2009:
Diceva che il Ministro Maroni fa delle scelte che certo rispettano le posizioni del suo partito, la Lega Nord, ma che sottostanno anche alle direttive stesse di Berlusconi.
[Maroni è il ministro che in questi giorni ha respinto alcuni barconi di profughi africani che cercavano di sbarcare in Sicilia. Caso unico perchè le leggi internazionali dicono che si può respingere i profughi solo dopo aver constatato che non hanno diritto all'asilo politico o umanitario o ad altri permessi di soggiorno. Il ministro può eludere la legge in quanto i barconi vengono respinti non nelle acque italiane ma in quelle internazionali]
Secondo Berlusconi coloro che tentano di sbarcare in Italia solo raramente sono disperati che vivono davvero male nel loro paese. Sono invece perlopiù clandestini assoldati da organizzazioni criminali che hanno dei vantaggi a promettere l'arrivo in Europa in cambio di soldi. Gli emigranti non sono vittime di gravi ingiustizie o situazioni drammatiche; sono clienti delle associazioni malavitose che guadagnano molti soldi con questi traffici di esseri umani.
Consiglierei a Berlusconi di leggere qualche pagina sui paesi da cui vengono queste persone. Chi dice cose del genere sembra fuori dal mondo, sembra completamente all'oscuro della storia della maggior parte dei clandestini che buttano via tutto quello che hanno per cercare di vivere in modo normale in un paese occidentale. Forse è meglio costringere i politici ad ascoltare resoconti e lezioni sulle situazioni sociali, politiche, umanitarie di tanti paesi in via di sviluppo o del terzo mondo.
D'altra parte è vero che è molto più facile entrare da clandestini in Italia piuttosto che in Grecia o Spagna, per citare solo i paesi del Mediterraneo.
(prosegue nel post seguente)
Sunday, May 10, 2009
Esempio di maschilismo made in Italy
Volevo far vedere cosa si pubblica dalle mie parti, la marca trevigiana, come esempio del maschilismo indecente che vi regna e governa.
Questo estratto mi è arrivato in newsletter dalla rivista www.marcaaperta.it
Silvio e Veronica
La vendetta di una donna tradita e umiliata può arrivare ad abissi di perfidia inimmaginabili. A farne le spese l'uomo, che, esaurita la curiosità per l'oggetto di un'antica conquista e desideroso di approdare a nuovi lidi, dimentica che all'ex diletta ha svelato tutto, ma proprio tutto, della propria vita, dei propri rapporti, dei propri affari.
Non per nulla la storia è piena di spie al femminile, che nell'intimità del talamo sono riuscite a carpire delicati segreti che hanno determinato svolte importanti nella storia.
Della coppia più famosa d'Italia si sa ormai più di quanto sia lecito sapere.
Le ripercussioni politiche che veranno, però, potrebbero riservare qualche sorpresa.
Sei convinto che
- Veronica poteva continuare a farsi la sua bella vita lasciando correre: in fondo ci era abituata
- Veronica poteva riprendere il marito in privato
- Da un'ex attricetta che a vent'anni ha accettato la corte di un cinquantenne sposato con figli non ci si poteva aspettare un'uscita di scena diversa
- Veronica ha fatto bene: Silvio andava punito severamente
- Il caso inciderà sul prossimo futuro politico ed economico dell'Italia
- L'argomento non mi interessa
Saturday, May 9, 2009
Corsi di comunicazione interculturale per politici.
Ancora una volta le battutine del Premier ("amo i finlandesi e le finlandesi, anzi le finlandesi solo se maggiorenni") hanno suscitato critiche e sdegno in molti giornali finlandesi.
Secondo me una maggiore preparazione culturale eviterebbe ai politici brutte figure e persino seri incidenti diplomatici.
Tanto per fare qualche esempio: in Svezia è comune che gli abitanti di uno stesso condominio non si salutino neanche. Questo per evitare interferenze che aumenterebbero molto a causa del fatto le persone vivono vicine, e non per loro scelta. Le stesse persone comunicano in modo normale o simpatico se incontrano i propri condomini in altri luoghi. A dire il vero, anch'io faccio così: non saluto i vicini. Se li vedessi altrove e ci fosse motivo di comunicare, comunicherei con loro.
Ovviamente agli scandinavi battute come quelle di Berlusconi non piacciano affatto. Piacciono poco, in realtà, anche ad altri di origine non scandinava.
Sembrano stupidaggini, ma molto spesso le conseguenze sono gravi.
Le battute disgustose di Calderoli contro i musulmani, qualche mese fa, hanno addirittura causato morti.
Il Papa, in questi giorni ad Amman, dice che gli spiace che il suo discorso su Maometto sia stato frainteso; ciò è dovuto al fatto che usiamo linguaggi diversi e conosciamo troppo poco le altre culture.
Ci sono molti esempi, anche banali: starnutire in pubblico per i giapponesi è molto offensivo.
Sputare nel piatto, in molti paesi arabi, è un modo per esprimere apprezzamento del cibo.
Dire quanto si guadagna in Italia è piuttosto antipatico. Pochi lo dicono e meno ancora lo chiedono. In USA è comunissimo.
Se vai da una signora italiana e le regali un bel mazzo di crisantemi ... te li tira dietro: i crisantemi sono i fiori che noi portiamo ai morti. Ma in Giappone li apprezzano di certo; anzi il Giappone è il paese dei crisantemi, simbolo dell'Imperatore.
Un po' più di cultura, anche tra i politici, risolverebbe forse molti problemi seri e importanti.
Mentalità anti-stalking
Ora, però, resta da fare il più: la mentalità degli italiani che condanni lo stalking.
Sunday, May 3, 2009
Ferrovie dello Stato. Inefficienze.
Sono arrivata in stazione 40 minuti prima della partenza del treno.
Tutte le macchinette della biglietteria automatica erano fuori servizio. Tutte vuol dire una quindicina.
In stazione vi erano lunghissime file ad ogni sportello.
Protesto con gli addetti che mi invitano a rivolgermi all' Assistenza Clienti.
Ci vado e chiedo come faccio ad avere un biglietto normale, come avrei potuto comprarmi se tutto fosse stato funzionante in stazione.
Gli addetti non riconoscono l'inefficienza. Dicono che ho tempo a sufficienza per fare la fila agli sportelli. Non era vero. Non bastava il tempo.
Chiedo che mi diano un foglio da loro timbrato con cui si asserisce che tutte le macchinette non funzionano e che i clienti hanno il diritto di procurarsi il biglietto in treno senza supplementi.
No. Non si può. E' colpa mia. Potevo procurmi il biglietto in internet.
Come al solito le ferrovie italiane non si prendono le responsabilità per le inefficienze da loro causate e non gli interessa di porre rimedio a tali situazioni.
La soluzione che avevo proposta mi sembrava ragionevole.
In Italia chi causa disagi può non risarcire.
Io ho dovuto pagare un prezzo del biglietto maggiorato del 50% perchè ho dovuto fare due biglietti diversi.
Nei paesi seri chi crea un problema è tenuto a fornire i mezzi perchè gli altri non ci rimettano.