Tuesday, April 6, 2010

G.Antonio Stella, 'Negri, froci, giudei & Co.', Rizzoli, Milano, 2009.

Anche 'Negri, froci ...' è un bel libro. Stella denuncia il razzismo, così come attaccava i privilegi della casta nel precedente best-seller.

Riporto un brano, dalle pagine 190-192, che mi sembra molto significativo:

"Noi non siamo razzisti. Per me tutti gli uomini sono uguali, hanno la medesima dignità. Il più nero dei neri ha gli stessi diritti del mio vicino di casa. Però a casa sua", spiega Umberto Bossi nel libro 'Processo alla Lega' scritto dal suo biografo, Daniele Vimercati. Ecco il punto. Gli italiani non sono sempre rimasti a casa propria. Anzi. E dopo un periodo coloniale segnato dal lavoro di tanta brava gente ma anche da episodi non isolati di spaventosa ferocia repressiva, hanno continuato a 'usare' l'Africa come una fonte di business.
Fecero ridere il mondo, gli scandai della nostra cooperazione internazionale. Come i 2360 silos della bresciana Calvinsilos montati in Somalia e in Sudan senza basamenti di calcestruzzo o un minimo di accorgimenti per impedire al mastice delle giunture di sciogliersi al sole. O le 1725 tonnellate di buste di cibo liofilizzato, pagato 30 euro di oggi al chilo, mandate dove non avevano l'acqua per far rinvenire i minestroni disidratati. L'andazzo era tale che non solo Gianni De Michelis ammise che il 97% degli aiuti ai paesi poveri finiva in commesse a imprese italiane, ma un bel giorno il generale somalo Aidid, insieme a un compare di merende, arrivò a presentare al Triunale di Milano una richiesta di risarcimento danni nei confronti di Bettino Craxi, Paolo Pillitteri e Pietro Bearzi lagnandosi che gli era stata pagata su un conto corrente elvetico solo una parte di una tangente concordata.
Per non dire dei nostri rifiuti tossici scaricati nel continente nero. Una pratica infame finita sotto i riflettori in almeno tre occasioni. Prima quando i nigeriani sequestrarono la nave 'Piave' per costringerci a riprendere i veleni italiani abbandonati vicino a Port Koko. Poi quando la Lynx, carica di materiali pericolosi imbarcati a Massa Carrara, venne bloccata e respinta mentre si dirigeva a Gibuti. La terza quando a Mogadiscio, nel '94, vennero uccisi l'inviata RAI Ilaria Alpi e il cameraman Miran Hrovatin. Assassinati quasi certamente perché indagavano su una delle triangolazioni maledette: soldi che arrivavano in Somalia per seppellire rifiuti tossici e tornavano indietro in cambio di fucili, mitra, bazooka, munizioni ...
Aveva la voce rotta, Silvio Berlusconi, raccontando al G8 del bimbo africano morto di fame tra le braccia della madre: "Le disse di non preoccuparsi perché sarebbero arrivate le Nazioni Unite. Ma non sono arrivate mai". Bene: avanti così arriveranno ancora di meno. Ricordate il solenne giuramento al Vertice Fao del '96? "Entro il 2015 dimezzeremo il numero degli affamati." Erano allora 800 milioni. Nel 2009 sono cresciuti di altri 220 milioni, fino a un miliardo e 20 milioni. Un essere umano su sei.
E' lì la grande contraddizione occidentale, europea e italiana nei rapporti con l'Africa. Da una parte la giusta preoccupazione di un'ondata di immigrati così massiccia da essere impossibile da gestire, dall'altra l'ipocrisia di chi dice "aiutiamoli a casa loro" senza offrire alternative. Peggio, sbarrando la strada a ogni possibile 'rimonta' del continente nero. "I dazi imposti dai paesi industrializzati su alimenti base quali la carne, zucchero e latticini sono circa cinque volte superiori ai dazi imposti sui manufatti", accusava nel 2001 Kofi Anna. "Le tariffe doganali dell'UE sui prodotti della carne raggiungono punte pari all'826%."
Nel 2006, lo United Nations Development Programme confermava: "Le tariffe commerciali più alte del mondo sono erette contro alcuni dei paesi più poveri. In media le barriere commeciali per i paesi in via di sviluppo che vogliono esportare verso i paesi ricchi sono da tre a quattro volte più alte di quelle in vigore tra i paesi ricchi." Per non dire degli aiuti agli agricoltori: un miliardo di dollari al giorno in sussidi per prodotti coi quali, a quel punto, i contadini dei paesi in via di sviluppo non possono sognarsi di competere. La direttrice del programma alimentare mondiale Josette Sheeran non ha dubbi: "Milioni e milioni di persone disperate hanno solo tre scelte: la rivolta, l'emigrazione, la morte."
Un po' imbarazzati dalla cattiva coscienza e dai continui tagli agli aiuti che hanno visto l'Italia diventare lo stato più sparagnino del pianeta (con lo 0,11 reale del PIL contro un impegno dello 0,70) i paesi ricchi del G8 riuniti all'Aquila nel luglio 2009 hanno deciso di reagire aprendo i cordoni della borsa. Comunicando, con toni trionfali, di avere stanziato per le nazioni più miserabili del mondo 20 miliardi di dollari. Fatti i conti, un trentunesimo di quanto persero le solo Borse europee nella sola giornata nera del 21 gennaio 2009. O se volete lo 0,13 per mille dei soldi stanziati per arginare la crisi nei paesi ricchi dopo l'esplosione della bolla speculativa basata sui subprime.
Ammesso che finissero tutti nel continente nero: 5 euro e 18 centesimi l'anno per ogni africano. Cioè 43 centesimi al mese.