Saturday, August 29, 2009

Firma per difendere la libertà di stampa in Italia

Il nostro Presidente del Consiglio non solo si è comportato in modo tale da suscitare prese di posizione che, in altri paesi democratici, lo avrebbero già privato del suo ruolo istituzionale, ma crede pure di non dover rispondere alla stampa di ciò che fa. Cosa inammissibile per una figura pubblica istituzionale.
Si è permesso di denunciare La Repubblica non per averlo diffamato o offeso, bensì per aver pubblicato 10 domande che i giornalisti rivolgerebbero al Premier se costui si degnasse di rispondere del suo comportamento.

Invito chiunque a firmare per sostenere la campagna promossa da Repubblica a favore della libertà di stampa.
Se persone ricche e potenti si permettono di zittire singoli cittadini e organi di informazione, la libertà di espressione in Italia è in pericolo:

http://temi.repubblica.it/repubblica-appello/?action=vediappello&idappello=391107



(Meglio farlo sapere in giro:

http://barazzaroberta.blogspot.com/2009/08/support-campaign-to-defend-freedom-of.html )

Thursday, August 27, 2009

Cassonetti pubblici e privati

Quando, lo scorso anno, vivevo a Bologna mettevo tranquillamente l'immondizia differenziata in cassonetti pubbici che trovavo un po' ovunque.
Sono qui a Treviso per pochi giorni e scopro che, praticamente, se non hai un cassonetto rigorosamente privato, non puoi buttare l'immondizia da nessuna parte.
Non mi sembra tanto intelligente: si rischia di buttare molte cose senza differenziarle. Chi vive qui per molto tempo, ovviamente, è tenuto ad avere cassonetti privati, è assurdo che non si possa differenziare se si è qui per pochi giorni. Mi sembra una politica molto leghista: egoismo che alla fine si ritorce contro chi ne è l'autore.

Wednesday, August 26, 2009

Dei Baroni non si sa niente (?)

http://www.nazioneindiana.com/2009/07/23/dei-baroni-non-si-sa-niente/


Volevo far conoscere le riflessioni di questa signora, Gilda Policastro, che commenta il libro 'I Baroni' di Nicola Gardini.

Mi sembrano parole fumose e altisonanti usate per nascondere e giustificare un imbroglio frequentissimo nelle istituzioni accademiche italiane.

Sotto il suo commento riporto le mie riflessioni.


di Gilda Policastro

Se il valore del libro di Nicola Gardini si dovesse misurare soltanto in relazione al tema annunciato dal titolo, I Baroni (Feltrinelli, 2009) e dallo strillo di copertina (“come e perché sono fuggito dall’università italiana”), il j’accuse lanciato dalla prospettiva dell’exul immeritus (Gardini è ora docente di Letteratura italiana e comparata a Oxford) e la comedía ivi inscenata, con i nomi tutti falsi di persone tutte vere, sentirebbero più del livore personale, e di una vendetta servita a freddo e senza pericolo, che della lucida analisi di un problema scottante. Del resto, il male dell’università è forse da individuarsi meglio in un cursus intollerabilmente lungo e privo di un approdo sicuro che nella corruzione dei singoli protagonisti.


Da questo punto di vista, concentrando invece l’attenzione sulle vicende personali e i macchiettistici individui che se ne rendono via via comprimari, dal problema strutturale si svierebbe verso quello contingente, non senza una patente contraddizione di fondo: se quell’ambito lavorativo si mostra così impresentabile, perché volerne far parte a tutti i costi, come parrebbe del Gardini agens?

Ma, per fortuna, così non è. I baroni non parla solo dell’università italiana come sistema incancrenito di rapporti di potere, di scambi di favori, di connivenze di tipo più o meno mafioso (così, almeno, ce la racconta il Gardini auctor, che, si badi, perlomeno nelle ultime pagine del libro non nega le proprie responsabilità, integrando opportunamente il j’accuse col mea culpa).

La chiave del libro è, invece, il passaggio in cui l’auctor-agens si definisce «ambizioso ma non competitivo», e l’ottica entro cui se ne può valutare retrospettivamente la tesi si fa perciò più interessante nel particolare e più persuasiva sul piano gnoseologico: lo scontro tra il reale e l’ideale, tra la pretesa diciamola romantica, idealista (o infantile) di trovare inverate le proprie aspettative “poetiche” (di bellezza, resistenza al tempo, armonia coi propri simili) in un mondo che si racconta più fedelmente con una prosa sconcia e volgare, le strategie perenni, i sotterfugi, le menzogne, non ultima l’inflessione intrinsecamente meridionale dei Baroni. Tra le pagine migliori, vi è infatti quella in cui Gardini contrappone al Barone per l’appunto il Poeta: questi, escluso dall’ingranaggio sociale perché incapace, avrebbe detto Pirandello, di “comunque vivere”; l’altro, pienamente integrato in un sistema in cui non contano le persone, ma le funzioni.

Il pungolo ai sognatori pare allora l’obiettivo primario del discorso, perché il loro più autentico sentire non soccomba fatalmente alle imposizioni autoritarie e brutali, e possa invece manifestarsi libero e appassionato. Gardini, cioè, voleva un posto nell’università italiana come l’amante attende corrispondenza dall’amato: l’intensità e la purezza del sentimento creano di per loro delle aspettative, anche quando l’amato si mostri alla prova del vero corrotto e meschino, e la reciprocità e irrecusabilità d’amore (per dirla alla Contini) non meno improbabili dell’agognata corrispondenza tra lo studioso (o il Poeta) e il Barone. Sempre che queste due figure non riguardino, dunque, solo l’università, ma la vita di ciascuno, entro un destino comune che, come emerge con crudezza dal resoconto, quasi impietoso, della malattia del padre, ci riduce inevitabilmente, prima o dopo, a cose inermi: e la nudità «dalla cintola in giù» del «demente», rovesciando vettorialmente la citazione del fierissimo Farinata dantesco, rende nel libro forse meglio dei troppi rimandi esibiti la verità della letteratura che sostiene la vita, che la accompagna, che ne medica i mali.

Conseguentemente, il racconto della morte, rimosso sociale più forte della nostra epoca, vale a recuperare a posteriori un senso per l’esperienza anche più tragica («per me la felicità ha a che fare con il passato», leopardianamente).

L’ «ambizione» di Gardini pare consistere, in definitiva, in un confronto coi simili, dove ve ne siano, meno segnato dall’aridità del contingente: al di là dei sassolini di cui pure la scarpa palesemente era ingombra.
[Questa nota è uscita sul quotidiano Liberazione]


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  1. Roberta Barazza
    Pubblicato 26 Agosto 2009 alle 18:30 | Permalink

    Mi permetto di suggerire una risposta alla domanda di Gilda Policastro, che riporto:

    “Detto diversamente: se l’introduzione di criteri oggettivi per la valutazione dei titoli (sia pur con tutti i limiti che l’attribuzione di un punteggio, per dire del più importante, a una pubblicazione in base alla sua sede) si deve (sic!) alla riforma Gelmini (peraltro non ancora in atto), e per decenni il criterio selettivo sono state invece prevalentemente le prove scritte di concorso, tu al posto di un docente che avesse i titoli e le competenze per giudicare un candidato (dunque nella migliore delle ipotesi, cioè al posto di un docente preparato e onesto), come ti saresti regolato di fronte alle prove pressoché equivalenti di un candidato interno e uno esterno, il primo dei quali avesse speso anni della sua formazione accanto a te e sotto il tuo magistero, magari collaborando, come da prassi, alla didattica, agli esami e tutto il resto: a parità di merito, ripeto, non avresti favorito il candidato interno?

    La risposta, piuttosto ovvia è che nelle università - aimé soprattutto straniere - più intelligenti non fanno concorsi truffa come in Italia e, per rispondere più precisamente, se, come in Italia, organizzo un concorso truffa e poi devo scegliere tra un candidato interno e altri - a parità di punteggio per il tema del concorso, nelle università più decenti si sceglie quello che ha il CV PIU’ BRILLANTE. Anzi all’estero non si fanno per niente i concorsi disonesti che ci sono in Italia ma semplicemente si manda il proprio cv e se le proprie credenziali sono brillanti si è scelti per queste. In Italia i concorsi delle università sono perlopiù una presa in giro che costa molti soldi ai contribuenti, sono pilotati, anzi il vincitore è già stato scelto, il tema spesso suggerito, il concorso spesso costuito ad hoc sul cv della persona che ha già vinto prima di farlo e, last but first, non conta se uno ha un cv brillante. Se uno ha passato magari 10 anni in un brillante centro di ricerca negli USA, spesso viene superato da chi ha a malapena qualche modesta pubblicazione in riviste solo del proprio istituto. La Sig.ra Policastro lamenta che è difficile determinare criteri oggettivi per valutare quale siano le esperienze accademiche più brillanti? Poverina, davvero lacerante.
    Un criterio di scelta è, ad es, le pubblicazioni a livello internazionale, che di solito valgono di più delle pubblicazioni che girano solo nel proprio istituto e che spesso sono fatte solo per avere una pubblicazione e che non valgono molto.
    Che cosa farei se il candidato interno e quello esterno hanno passato con voti uguali? Sceglierei non il candidato interno, ma quello che ha il miglior cv, quello che fatto brillanti esperienza anche internazionali. Elementary, Watson!
    Ho apprezzato moltissimo il libro di Gardini.
    Roberta Barazza

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Sopra il commento da me pubblicato su www.nazioneindiana.com . Aggiungo che se quei signori continuano a scegliere i loro protetti anzichè persone con cv brillante e competitivo, l'università italiana sarà sempre più provinciale, chiusa, in stile 'familismo amorale'.

Saturday, August 22, 2009

Dimmi che spesa fai e ti dirò di che linea politica sei.

Andare al supermercato è, ovviamente, un atto profondamente politico.
Al supermercato uno sceglie tra prodotti ecocompatibili e non, e quindi tra chi sostiene o meno, in parlamento, scelte ecologiste.
Uno può decidere se essere equosolidale e sostenere popolazioni sfruttate dai grandi cartelli industriali, o se preferisce difendere i prodotti locali e, con essi, la linea protezionistica di certi partiti politici.
Il riso Basmati è una diavoleria da rifiutare, secondo Zaia e molti leghisti. Recente è la risposta di una parlamentare di AN che chiede di boicottare i prodotti padani, comprando al sud solo beni di consumo meridionali.
Certe supermercati, come la COOP, hanno già una certa coloritura politica, per cui suppongo che simpatizzanti di AN o della Lega non siano tra i loro clienti più affezionati.
Si possono sostenere o rifiutare, insieme al supermercato, anche certe sue iniziativie sociali o umanitarie, come progetti di sviluppo terzomondisti per cui, ad esempio la Lega, non sembra stravedere.
Si può andare al supermercato con la borsa di stoffa piuttosto che abusare nell'acquisto di borsette di plastica non ecologiche.
Si può pagare con la carta di credito di una banca etica, piuttosto che con quelle del Banco Ambrosiano che rappresenta ben note vicende politiche.
Insomma ... dimmi che spesa fai e ti dirò di che linea politica sei.

Elefantiasi burocratica italiana

Ci si lamenta dell'evasione fiscale, ma certe leggi e regole dello stato italiano sembrano addirittura incoraggiarla.
Quando ero in America ho potuto affittare per un mese un appartamento con un regolare contratto d'affitto, per il quale non ho pagato nulla. L'ho poi potuto regolarmente denunciare nella dichiarazione dei redditi.
In Italia se non si fa un contratto di almeno un anno, nessuno affitta in modo regolare gli appartamenti. E, mi si permetta, hanno un po' ragione, perché se io affitto per un mese, per un contratto regolare dovrei pagare almeno un'altra mensilità.
Se ci fosse una burocrazia più agile e intelligente, il nero emergerebbe perché conveniente.

Provveditorati

In ruolo alle medie! Sono molto contenta. Mi hanno detto che il prossimo anno dovrei entrare in ruolo alle superiori, per cui fare un anno alle medie mi piace e sono molto curiosa di sapere com'è.

Però ... questo è quello che è successo al provveditorato di Verona.
Una persona è convocata per il ruolo. Sceglie la provincia. Poi le danno una lista di scuole da scegliere.
Se non si sceglie la propria provincia, difficile conoscere tutti i paesi e paesetti delle altre province. E l'elenco che danno è così 'preciso' che c'è scritto SM (cioè Scuola Media) con un nome accanto. Quel nome può essere il nome della scuola stessa o del paese, senza la minima differenza grafica.
Volevo scegliere le scuole del capoluogo di provincia. Ma non c'era scritto da nessuna parte il nome del capoluogo.
Va' beh, dico, scegliamo due paesetti, un po' a caso. Poi uno l'ho trovato nella mappa, e l'altro no. Ho pensato che sarà una minuscola frazione non segnata nella cartina. E invece no. Ho scoperto poi, a casa, che la 'minuscola frazione' era, in realtà, il nome della scuola, e che si trovava ... nel capoluogo di provincia.
I consulenti del provveditorato, che erano lì per aiutare a compilare le proposte di assunzione, ne sapevano quanto me: non avevano idea di dove si trovassero le scuole. Gli ho detto che mi sembrava mio diritto, prima di accettare, sapere dove si trovavano le scuole ...

Lo scrivo perché mi sembra la solita scandalosa approssimazione in salsa made in Italy.

Thursday, August 20, 2009

"Valzer con Bashir" di Ari Folman

Bellissimo "Valzer con Bashir" di Ari Folman.
E' un film con immagini a fumetti.
Il protagonista è un cineasta, ex-soldato israeliano, che ha combattuto durante l'invasione del Libano, nei primi anni '80, e il massacro di Sabra e Shatila.
Non ricorda niente di quegli anni. Una conversazione con un amico suscita in lui un primo ricordo.
Dovrà parlare con colleghi, amici, psicologi e testimoni di quegli eventi per ricostruire nella sua mente i ricordi di quegli anni. Ricordo dopo ricordo riaffiora il suo passato. Rimane un ultimo tassello, la rimozione più intransigente: la strage di Sabra e Shatila. Con un amico psicologo capisce che cosa ha cancellato totalmente quelle immagini: il senso di colpa.
Solo accettando il fatto che non poteva agire diversamente, potrà recuperare anche questi ultimi brandelli del suo passato.
Ma il film non è solo una storia individuale: l'assassinio di Bashir Gemayel, la rappresaglia dei falangisti cristiano-libanesi sostenuti dagli israeliani, il massacro di Sabra e Shatila con migliaia di vittime civili palestinesi, la responsabilità di Sharon ... imperdibile.

Wednesday, August 19, 2009

Burkini

Possibile che in Italia la gente abbia un cervello così minuscolo da non concepire che possono esistere in giro per il mondo anche costumi da bagno con qualche centimetro quadrato di stoffa in più?
Secondo me protestare per un costume che non ha niente di irregolare, ma che è solo un po' diverso, vuol dire dimostrare grandi limiti culturali. Vien da pensare a persone modeste che non hanno mai oltrepassato la soglia del proprio paesetto, e che si spaventano per differenze insignificanti.
Che poi questo sia il caso anche di personaggi importanti come il sindaco di Verona, è un problema serio.
Chi conosce solo il proprio paese tende a rifiutare gli altri paesi e a pensare che il loro modo di vivere sia incomprensibile o scandaloso, e sempre peggio del nostro.
Chi conosce gli altri paesi vede nel loro modo di vivere semplicemente delle diversità, spesso molto interessanti e attraenti.
Mi viene in mente la battuta di un mio alunno, battuta, peraltro, piuttosto frequente: "Non occorre andare all'estero. Il posto migliore in cui vivere è l'Italia."
Al mio alunno, adulto, sui quarant'anni, ho poi chiesto se ha mai vissuto all'estero; mi ha risposto che aveva fatto solo un paio di brevi viaggi in Germania e Svizzera.
Molto significativo. Chi non conosce altro, pensa che tutto debba essere come è qui. Più conosci altri modi di vivere e più capisci che noi non siamo al centro del mondo, e che il nostro è solo uno dei tanti modi di vivere, a volte migliore, a volte peggiore. E' un problema culturale.
Penso che gli stranieri in Italia incontrino ancora un ambiente molto ostile e ottuso per il basso livello culturale della maggior parte degli italiani. In Gran Bretagna o in Francia, per non dire in America, la situazione è molto diversa, e l'integrazione degli stranieri molto più avanzata.
Penso che la presenza degli stranieri in Italia, spesso per loro molto dura, sia per noi italiani una fortuna anche perchè allarga l'orizzonte culturale molto limitato dei più.
Se uno va all'estero e vede che le bambine vanno in piscina con costumi lunghi, si rende conto che non è poi così spaventoso, che non fanno del male a nessuno, e che è solo un abbigliamento un po' diverso. Siccome molti italiani non vanno molto all'estero, dovremmo ringraziare gli stranieri che vengono qui e che ci fanno conoscere abitudini un po' diverse, arricchendo così il nostro limitato orizzonte culturale.

"Il colore della libertà" di Bille August

Un bel film: "Il colore della libertà" di Bille August.
E' la storia di Mandela e i suoi quasi trent'anni di prigione durante il regime di apartheid in Sudafrica.
Il periodo più feroce è stato a Robben Island: quasi diciott'anni di carcere durissimo. Già allora gli avevano più volte offerto la possibilità di tornare libero purché rinunciasse alla lotta politica e lasciasse il paese. Non lo ha fatto perché significava rinunciare alla speranza di un Sudafrica libero.
Un po' come Aung San Suu Kyi in Myanmar: poteva farsi una vita comoda in Europa, ma ha preferito stare in Birmania a rompere le scatole ai dittatori.
Alla fine i leader sudafricani sono stati costretti a venire a patti con Mandela, e poi a rilasciarlo, soprattutto per le pressioni internazionali e le sanzioni economiche che stavano mettendo in ginocchio il paese.
Che non si possa arrivare alla stessa conclusione anche in Myanmar? Anche Aung San Suu Kyi insiste molto sulla necessità di boicottare con più forza il paese.

Saturday, August 15, 2009

L'inferno femminile afgano visto dagli uomini

Volevo riportare un sorprendente articolo di Wikipedia sulle donne afgane. Rappresenta un punto di vista maschilista che sembra ignorare le gravissime violazioni di diritti umani che lo donne in Afganistan subiscono quotidianamente. Wikipedia premette che la neutralità dell'articolo non è verificata. Se non altro è interessante sapere come un uomo, probabilmente afgano, giustifica e describe con tanta pacatezza quell'inferno al femminile.
Ho enfatizzato in grossetto i brani, secondo me, più discutibili o degni di attenzione.
Aggiungo che è proprio di questi giorni la notizia che il presidente afgano Karzai ha, praticamente, sancito il diritto per gli uomini sciiti di stuprare le loro mogli. E' una decisione politica dovuta alla necessità di ottenere il sostegno degli sciiti. Difficile conciliare questo con le seguenti righe tratte dal brano di Wikipedia:

This does not mean that women are confined to domestic roles. The stereotyping of Afghan women as chattel living lives of unremitting labor, valued by men solely for sexual pleasure and reproductive services is patently false.
[1]




Da www.wikipedia.com 'Gender roles in Afghanistan':

http://en.wikipedia.org/wiki/Gender_roles_in_Afghanistan


Gender roles in Afghanistan

From Wikipedia, the free encyclopedia

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Afghan schoolgirls

Afghan society is consistent in its attitudes toward the underlying principles of gender. It is the application of these principles that varies from group to group; and there is a wide range of standards set for accepted female behavior, as well as differences in male attitudes toward correct treatment of women. Contradictions arise between traditional customary practices, many of which impinge on the rights of women and are alien to the spirit of Islam, the other functioning canon which emphasizes equality, justice, education and community service for both men and women. Further, the dictates of Islam are themselves subject to diverse interpretation among reformists, Islamists and ultraconservatives. Debates between these groups can be highly volatile.[1]

Gender reform was central to the contentious issues which brought about the fall of King Amanullah in 1929. In 1959, the male-oriented government of Prime Minister Daud Khan supported the voluntary removal of the veil and the end of seclusion for women. The 1964 Constitution automatically enfranchised women and guaranteed them the right to education and freedom to work.[1]

For thirty years after 1959 growing numbers of women, most from urban backgrounds, functioned in the public arena with poise and dignity, with no loss of honor to themselves or to their families, and with much credit to the nation. Nevertheless, family pressures, traditional attitudes and religious opposition continued to impose constraints which limited the degree to which women could find self-expression and control their lives.[1]

Except in Kabul where women under the PDPA were encouraged to assume more assertive public roles, this evolutionary movement came to a halt in 1978. Conservative mujahidin leaders waging a jihad (struggle) against foreign encroachment, both military and ideological, were imbued with the belief that sexual anarchy would result if women continued to move freely in public; and that society would fall into ruin as a result. These attitudes have intensified under the Taliban. Mostly rural Pushtun from strongly patriarchal backgrounds, the Taliban project ultraconservative interpretations of Islam and apply customary practices as societal ideals. In 1996, gender issues are again at the center of heated debate.[1]

All agree that differences between men and women exist and are best preserved through recognized standards of behavior. None dispute the centrality of women in the society. Respect for women is a notable characteristic and few wish to destroy this esteemed status, nor deny what Islam enjoins or Afghan culture values. The argument rages over definitions of precisely what constitutes honorable behavior for women in terms of modern realities, especially in the light of today's monumental reconstruction needs which demand full participation from every Afghan citizen.[1]

The current zealous need to protect women's morality stems from the fact that Afghan society regards women as the perpetuators of the ideals of the society. As such they symbolize honor -- of family, community and nation -- and must be controlled as well as protected so as to maintain moral purity. By imposing strict restraints directly on women, the society's most sensitive component symbolizing male honor, authorities convey their intent to subordinate personal autonomy and thereby strengthen the impression that they are capable of exercising control over all aspects of social behavior, male and female.[1]

The practice of purdah, seclusion, (Persian, literally meaning curtain), including veiling, is the most visible manifestation of this attitude. This concept includes an insistence on separate spaces for men and women and proscriptions against interactions between the sexes outside the mahrammat (acceptable male guardians such as father, brother son and any other male with whom a women may not marry). These restrictions severely limit women's activities, including access to education and employment outside the home. Many are largely confined to their homes.[1]

Such restrictions are deemed necessary by conservative males because they consider women socially immature, with less moral control and physical restraint; women's hypersexuality precludes responsible behavior. Consequently, women are untrustworthy and must be kept behind the curtain so as not to disrupt the social order. The need for their isolation therefore is paramount.[1]

Afghan women view their sexuality more positively and question male maturity and self-control. In reality the differences between private and public behavior are significant. In private, there is a noticeable sharing of ideas and responsibilities and in many households individual charisma and strength of character surmounts conventional subordinate roles. Even moral misconduct can be largely overlooked until it becomes a matter of public knowledge. Then punishment must be severe for male and family honor must be vindicated. It is the public image that counts. As a result, urban women are models of reticence in public and rural women appear properly submissive.[1]

That a family's social position depends on the public behavior of its female members is a guiding reality. Stepping outside prescribed roles and behavioral norms in public results in moral condemnation and social ostracism. It is the dictates of society that place a burden on both men and women to conform.[1]

Under such circumstances gender roles necessarily follow defined paths. Male prerogatives reside in family economic welfare, politics, and relationships with outsiders; within the family they are expected to be disciplinarians and providers for aged parents. Female roles stress motherhood, child socialization and family nurturing. Even among professional career women, family responsibilities remain a top priority. Thus women's self-perception of their roles, among the majority, urban and rural, contributes to the perpetuation of patriarchal values.[1]

Within the vast store of Afghan folktales covering religion, history and moral values, many reinforce the values governing male and female behavior. They illustrate what can or cannot be done, describe rewards and punishments, and define ideal personality types. Thus they serve to perpetuate the existing gender order and through example make it psychologically satisfying.

The status and power of a girl increases as she moves from child to bride to mother to grandmother. A successful marriage with many sons is the principal goal of Afghan women, wholeheartedly shared by Afghan men. Women's nurturing roles are also crucial. This does not mean that women are confined to domestic roles. The stereotyping of Afghan women as chattel living lives of unremitting labor, valued by men solely for sexual pleasure and reproductive services is patently false.[1]

Women's work varies from group to group. Among most settled rural families, women participate in agricultural work only during light harvesting periods, and are responsible for the production of milk products. Some specialize in handicrafts such as carpet and felt making. In contrast, Nuristani women plow the fields while the men herd the flocks and process the dairy products. Nomadic women care for young lambs and kids and make a wide variety of dairy products, for sale as well as family use. They spin the wool sheared by men and weave the fabric from which their tents are made. Felt-making for yurt coverings and household rugs ia also a female activity. When on the move, it is the women who put up and take down the tents. The variations are endless.[1]

Although statistics indicate that by 1978 women were joining the workforce in increasing numbers, only about eight percent of the female population received an income. Most of these women lived in urban centers, and the majority were professionals, technicians and administrators employed by the government which continued its strong support. A majority worked in health and education, the two sectors considered most appropriate for women as they are extensions of traditional women's roles. Others worked in the police, the army, and with the airlines; in government textile, ceramic, food processing and prefab construction factories. A few worked in private industry; a few were self-employed.[1]

The current revival of conservative attitudes toward appropriate extradomestic roles for women and the criticism of women's visibility in public has largely impacted these professional women. Islamic texts do not delineate roles for women. What they imply is open to interpretation. What they command is equality and justice guaranteeing that women be treated as in no way lesser than men. Educated Afghan women are standing fast in their determination to find ways in which they may participate in the nation's reconstruction according to their interpretations of Islam's tenets. This is a powerful challenge now facing the society.[1]

However, the foreign aid community would do well to examine carefully their recent aggressive campaign to assure rights for Afghan women in education and employment. The Afghan community is already sharply divided over whether assistance to boys' education should be discontinued because there is a ban on education for girls. Family harmony must certainly be undermined when women are favored over men in a declining job market.[1]

Thursday, August 13, 2009

Francois Truffaut

"Tre film al giorno e tre libri alla settimana basteranno a fare la mia felicità fino alla mia morte"
(Francois Truffaut)

Giovanni Floris, La Fabbrica degli ignoranti. La disfatta della scuola italiana.

Consiglio il libro di Giovanni Floris, La Fabbrica degli ignoranti. La disfatta della scuola italiana, Rizzoli, Milano, 2008.

Analizza i pesanti problemi della scuola italiana e li confronta con varie altre istituzioni scolastiche nel mondo.
Sembra che il modello migliore sia quello finlandese. E la Finlandia non lo ha trovato pronto fin dalle origini della sua storia. Ha riformato totalmente il suo sistema nel 1995. Come a dire che se si vuole cambiare radicalmente le cose, lo si può fare (pp. 259-60).
Perché il nostro governo non manda un gruppo di lavoro in Finlandia per studiare seriamente quel modello e vedere se è possibile costruirne uno altrettanto efficiente in Italia?


Riporto adesso tre pagine (pp. 261-263) molto divertenti del libro di Floris.
Dovendo constatare il relativo disastro della scuola italiana, l'autore ha cercato di consolare sé e i suoi lettori trovando in giro per il mondo esempi di strafalcioni di vario tipo.
Quelli che riporto sono i più esileranti: domande poste da serissimi avvocati americani ai testimoni interrogati durante vari processi.



Wednesday, August 12, 2009

Diffidare delle biglietterie automatiche dei treni

Le biglietterie automatiche in servizio nelle varie stazioni dei treni sono troppo spesso un vero e proprio imbroglio.
L'altro giorno ho preso nella biglietteria di Bergamo un biglietto da Bergamo a Treviso e, mentre era più veloce ed economico un biglietto da Bergamo a Brescia + Brescia - Verona - Mestre - Treviso, la macchinetta mi ha propinato un biglietto Bergamo - Pioltello - Brescia - Verona ... Treviso. Invece di mandarmi a Brescia mi ha mandato quasi a Milano e poi indietro fino a Brescia.
Addirittura bastava andare verso Milano e cambiare a Treviglio, e invece nel biglietto c'era scritto Pioltello, che è ancora più in là di Treviglio ed è una fermata non necessaria per cambiare per Brescia.
Faccio notare che l'orario mi permetteva di prendere il treno da Bergamo a Brescia e cambiare verso Verona, quindi questo biglietto non mi accelerava il viaggio. Il treno che io ho poi preso a Brescia era lo stesso che avrei preso se fossi andata direttamente da Bergamo a Brescia.
Entrambi i biglietti erano regionali, quindi senza maggiorazioni, ma la biglietteria imbrogliona mi ha fatto prendere quello da 16 €, anzichè uno normale da 12 € sufficiente per arrivare alla stessa ora a Treviso.

Utenti di biblioteche

Durante il recente viaggio in Finlandia ho scoperto che l'80 % dei finlandesi frequenta le biblioteche.
Anche noi abbiamo un'alta percentuale: il 73 % degli italiani ... NON va mai in biblioteca!

(Si veda Giovanni Floris, La fabbrica degli ignoranti, Rizzoli, Milano, 2008, p.214)

Tuesday, August 11, 2009

Non denuncerei mai un clandestino

Non denuncerei mai un clandestino. Credo che i clandestini si sentano ora in Italia un po' come gli Ebrei in epoca fascista: terrorizzati all'idea che qualcuno denunci semplicemente la loro presenza. Clandestini non vuol dire criminali.
E quel che è peggio è che, ora, lo sfruttamento dei clandestini ad opera di gente senza scrupoli rischia di rafforzarsi. Sono persone che ora temono tutto, anche di uscire per strada. Delinquenti scriteriati approfitteranno di certo di tale totale impossibilità di difendersi.
A chi possono rivolgersi ora i clandestini? A persone normali, magari per chiedere lavoro? Non lo faranno, è troppo pericoloso. Alle autorità? Ancora peggio. Temo che ora si rivolgeranno, più di prima, alla criminalità disposta a sfruttarli indegnamente. Praticamente questa legge costringe i clandestini a diventare criminali. Paradossale? Sembra piuttosto intenzionale. Certi leader politici hanno sempre voluto accostare clandestinità a criminalità.

La logica della scuola italiana

Certo che la scuola italiana è organizzata in modo molto logico!
Ho fatto il concorso per inglese nel 2000 e ho l'abilitazione per l'insegnamento nelle scuole secondarie.
Dopodiché ho insegnato dal 2001 al 2009 solo alle superiori (anzi, per due anni anche in due università - straniere, ovviamente).
Ora mi si propone il ruolo ... alle medie. Con anno di prova, in cui devi dimostrare una competenza che ci sarà, anche, ma di sicuro sono più competente alle superiori.
Comunque vedo che in questa barca sono in tanti, e molti si lamentano per questi stessi motivi.
Bisogna dire anche che tra un po' di anni sarò convocata per il ruolo alle superiori. Se resto in Italia.
Ovviamente preferirei insegnare alle superiori, ma il ruolo dà dei vantaggi economici notevoli.
Quindi, si vedrà ... ma è brutto accettare di insegnare alle medie solo per avere soldi in più.
La scuola italiana funziona in modo illogico. La professionalità e le competenze individuali sono sprecate o mal utilizzate.

Monday, August 10, 2009

Per i suoi scandali l'Italia supera il limite

Da Newsweek del 10-17 agosto 2009, p. 9.

ITALY HITS ITS SCANDAL LIMIT
by Barbie Nadeau

In Europe, the sex lives of politicians rarely create scandals the way they do in the US. But the continent's lenience may have finally hit its limit in Silvio Berlusconi's latest antics. The Italian prime minister has shrugged off all sorts of tawdry allegations during his three terms in office, from mafia collusion to bribery. Voters have also turned a blind eye to his former rumored affairs, so a sex scandal seemed like the last thing that would fell the media mogul. But when Berlusconi's wife started divorce proceedings against him this past spring, after he attended the birthday of an 18-year-old lingerie model, the first chinks in his reputation appeared. Then came incriminating photos of orgies at his Sardinian villa and testimony from high-priced call girls that Berlusconi promised them political power in exchange for sex. The trashy details of their leader's libido are starting to grate on ordinary Italians. For the first time, Berlusconi's official approval ratings have dropped below 50 percent. The Vatican has also strongly rebuked him, and the opposition is thundering for his resignation. Looks like Berlusconi's finally crossed a line for tolerant Europe.


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(Non traduco l'articolo. Anche nel recente viaggio in Finlandia, come in quello in Olanda, Svezia, Slovacchia ... ho visto che tutti, anche bambini, anziani, operai, parlavano inglese. In Italia, cioè in Europa, tutti dovrebbero sapere l'inglese)


In America si scandalizzano molto più che in Europa per ciò che riguarda le stranezze nella vita privata dei leader politici.
Anche nell' Europa soft, però, scandalizza ormai troppo il comportamento di Berlusconi.
Sembra che noi italiani siamo i più tolleranti in una già tollerante Europa. E, pur nel consueto ritardo, anche gli italiani cominciano a considerare inaccettabile il comportamento del loro primo ministro. Possiamo, dunque, rallegrarci di un ennesimo primato negativo.
Siamo in Europa, non più solo in Italia. Di Berlusconi si vergogna l'Europa intera. Non è più solo una faccenda nazionale.

Riduzione del personale della scuola

A volte si parla dei tagli della Gelmini con cifre così grandi che ... non dicono molto.
Quest'anno sembra che i nuovi ammessi in ruolo siano 8000. Ma detta così ...

Io so qualcosa di più concreto per la materia di inglese.
Lo scorso anno, a luglio, sono stati immessi in ruolo nella regione Veneto una settantina di nuovi insegnanti di inglese alle medie.
Quest'anno i nuovi assunti in ruolo sono ... 4.
Questi sono i tagli della Gelmini.

Voli low-cost: si pagano singole tratte.

Il problema di cui parlavo nel precedente post mi ha fatto notare un particolare a cui non avevo fatto molta attenzione: molte compagnie low-cost vendono le singole tratte con un prezzo preciso, non un volo con un prezzo complessivo. Per i voli di linea di solito si paga un'andata e ritorno che costa meno della singola andata.
Con i voli low-cost, invece, le singole tratte hanno un prezzo preciso ... e low.
Per questo mi piacerebbe programmare i prossimi voli come viaggi con plurime destinazioni, del tipo:
milano-berlino + berlino-parigi + parigi-praga .... e ritorno a milano.
Isomma, sembra che aver perso il volo in Finlandia mi porterà a volare di più, anziché meno.

Ryanair. Neanche dopo il check-in puoi essere certo di prendere il volo.

Ho sentito parecchie persone lamentarsi che la Ryanair chiude i gates di imbarco in modo piuttosto discutibile. Così discutibile che hanno già perso un bel po' di clienti.

Le lamentele che sento spesso riguardano l'accesso al check-in: il check-in chiude mezz'ora prima del volo. Vari miei conoscenti sono arrivati all'ultimo minuto, ma non in ritardo, e i perfidi impiegati dell'aeroporto gli hanno chiuso il gate in faccia, non senza un intimo compiacimento, scommetto.

A me è capitata una cosa ancora più strana: all'aeroporto finlandese di Tampere avevo già passato il check-in e aspettavo l'imbarco, oltretutto in piccolissimi spazi sovraffollati.
Il volo era previsto per le 14.45, quindi per mezz'ora fino alle 14.45 i passeggeri erano tenuti ad aspettare nella sala d'imbarco. Mentre le persone si preparavano in fila, io sono andata in bagno e sono uscita alle 14.30 o 14.31. Ero convinta di essere più che in tempo per accodarmi per l'imbarco.
E invece no. Quegli sciagurati, prima delle 14.30, avevano già chiuso il gate e non mi hanno permesso di raggiungere l'aereo.
Gli aerei a Tampere disteranno una cinquantina di metri dall'edificio dell'aeroporto; non era necessario un bus per arrivarci. Ho chiesto allo staff se mi si poteva accompagnare. Avevo ancora più di dieci minuti dalla partenza. Non me lo hanno permesso.
Se fossi io fuori orario, capisco, e non potrei protestare. Ma questo mi sembra proprio un'arbitraria decisione non giustificata da necessità organizzative o di ordine pubblico.

Ho dovuto prendere un altro volo due giorni dopo: mi sono consolata con una visita a Helsinki.
Ma voglio escludere la Ryanair per i prossimi, almeno, tre o quattro voli.