Sunday, July 26, 2009

Dante, l'Antitaliano.

Volevo riportare una citazione, che mi sembra bellissima, tratta da

Prezzolini, L'Italia finisce. Ecco quel che resta, Rusconi, Milano, 1984 (scritto nel 1948), pp. 47-48.



Cap. IV
Dante. L'Antitaliano

La prima cosa da dirsi intorno a Dante, in un libro sulla civiltà italiana, è che egli resta il più grande degli Antitaliani, come potrebbero chiamarsi i giudici severi e i critici implacabili degli Italiani. La forza dominante, la probità e la fede incomparabili, l'unità di poesia, pensiero e d'azione, fanno di lui l'eccezione più impressionante e l'antitesi più grande del caratere degli Italiani.
Quanto alla sua fama nel mondo, Dante è l'Italiano più famoso, proprio come Shakespeare è l'Inglese più famoso. Ma Dante occupa una posizione unica e sola nella civiltà italiana, perchè la sua opera influì poco e produsse scarsi effetti sulle abitudini e sui costumi nazionali. Forse si può dire lo stesso di Shakespeare, dell'autore, cioè, di tutta la letteratura inglese, più citato dagli anglosassoni; ma ai Latini questi non sembra così moralista, né così formalista e puritano come appaiono gli Anglosassoni. Si direbbe quasi che questi due autori ebbero molti lettori e pochi imitatori.
Sarebbe il caso di chiedersi se Shakespeare non sia più meridionale di Dante, e Dante più nordico di Shakespeare. Certo, la libertà e la franchezza di espressione di Shakespeare mal si conformano alla abituale ipocrisia del comune modo di parlare del tipico 'gentleman' inglese, mentre il rigore logico e l'unità di pensiero e di azione di Dante poco han da fare con la rilassatezza morale comunemente associata al carattere italiano. E' difficile ammettere che la civiltà inglese sia stata 'shakespiriana'.
Quella del Comune, la civiltà più sincera, naturale, vigorosa, originale mai esistita nella penisola, può dirsi civiltà finita con Dante. In maniera alquanto analoga, allo Shakespeare succedette un'Inghilterra protestante e ipocrita la cui ristrettezza mentale fu la negazione della larga comprensione umana e della libertà spirituale con cui Shakespeare aveva contemplato il mondo.